Francia malato d’Europa, è accanimento terapeutico
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Francia malato d’Europa, è accanimento terapeutico
La Francia cerca disperatamente di restare in piedi mentre le fondamenta politiche scricchiolano. Nella giornata dell’8 ottobre 2025, il primo ministro dimissionario Sébastien Lecornu ha annunciato un possibile rimpasto, tentando di evitare le elezioni anticipate. Dopo 24 ore di consultazioni con i principali partiti, ha fatto sapere che “una convergenza è possibile”, ma che tutto dipenderà dalle prossime ore e dall’ultima parola di Emmanuel Macron, che riceverà le proposte in serata.
Dietro la formula generica del “governo di scopo”, però, si nasconde una realtà molto più cupa: la Francia è un paziente sotto ventilazione artificiale. Le opposizioni sono divise, i macronisti isolati, la sinistra radicale in fermento, e le urne fanno paura a tutti. Nessuno vuole staccare la spina, ma nessuno sembra nemmeno disposto a curare davvero il corpo malato della Quinta Repubblica.
Parigi, ottobre 2025. Dopo l’implosione politica causata da una serie di fallimenti strategici, Emmanuel Macron tenta di evitare un voto che potrebbe sancire la sua uscita di scena in modo clamoroso. A guidare i tentativi di sopravvivenza è Sébastien Lecornu, primo ministro dimissionario, incaricato di trovare una nuova maggioranza parlamentare. L’obiettivo è chiaro: evitare lo scioglimento dell’Assemblée nationale, mettere in sicurezza la legge di bilancio entro dicembre e, soprattutto, prolungare l’agonia del macronismo senza un vero mandato popolare.
Un presidente che non piace più a nessuno
Macron non ha più una base. I centristi lo tollerano, i conservatori lo irridono, i comunisti lo detestano. Nemmeno il suo gesto più audace e simbolico, il riconoscimento unilaterale dello Stato di Palestina, è riuscito a ricucire il rapporto con le frange più ostili della gauche o con l’elettorato delle banlieue. Anzi, quel gesto è stato visto da molti come un’uscita teatrale priva di conseguenze concrete, fatta più per distrarre che per costruire. Nessun ritorno di fiamma con i movimenti pro-immigrazione. Nessun ringraziamento dalla sinistra radicale, che continua a rifiutare ogni compromesso.
Il riconoscimento, celebrato da alcuni media come una mossa coraggiosa, si è rivelato un boomerang: nessun dividendo elettorale, molte più divisioni diplomatiche. Israele ha reagito con freddezza, Hamas con propaganda. Sul piano internazionale, l’unico risultato concreto è stato l’indebolimento della posizione israeliana nei negoziati sugli ostaggi, a vantaggio dell’ala militante palestinese. Per Macron, il danno è doppio: ha perso autorevolezza all’estero e non ha guadagnato nulla in patria.
Un sistema in delirio farmacologico
Il cosiddetto “governo di scopo” che Lecornu cerca di imbastire ricorda le infusioni d’emergenza nei reparti di terapia intensiva. Non ha una vera visione, non nasce da una condivisione politica, non ha futuro. Serve solo a prendere tempo. Ma tempo per fare cosa? Per approvare una legge di bilancio imposta da Bruxelles? Per placare i mercati in vista dell’imminente downgrade sul debito? Per garantire a Macron un’uscita meno disonorevole di quella a cui è ormai destinato?
I partiti che si dicono disposti a “valutare” l’offerta sono in realtà paralizzati dal timore delle urne. I Républicains temono l’onda lepenista. I Socialisti hanno paura di scomparire. I Verdi sono frantumati. La France Insoumise si sfila per calcolo, nella speranza di lucrare sul caos. Tutti prendono tempo, nessuno decide.
L’Europa guarda, preoccupata ma impotente
Mentre Macron scruta i report dei sondaggi e Lecornu gira come un mendicante tra gli uffici dei capigruppo, il resto d’Europa osserva con inquietudine. La Francia non è più un faro. È un generatore d’instabilità. Non guida, non ispira, non impone. Assomiglia sempre più a una seconda Italia, ma senza l’autoironia. Le tensioni sociali si moltiplicano, la sfiducia nelle istituzioni è a livelli record, l’estrema destra è data sopra il 35%.
Basta guardare l’ultima sfilata del 14 luglio: blindata, mesta, spenta. La grandeur si è ritirata in una stanza dell’Eliseo, dove Macron prepara le sue uscite di scena con lo stesso spirito con cui Bonaparte compilava i suoi ricordi a Sant’Elena.
E ora? Il nulla.
Il rimpasto annunciato serve solo a prendere fiato. Nessuna proposta strutturale, nessun patto sociale, nessuna visione sul futuro energetico, demografico, militare o tecnologico del paese. Solo un tentativo di sopravvivere a sé stessi. E se anche l’Assemblea si salvasse, Macron resterebbe un presidente dimezzato, schiacciato tra le ambizioni passate e l’irrilevanza presente.
Il voto fa paura. Non solo perché potrebbe consegnare il potere a Marine Le Pen, ma perché segnerebbe la certificazione del fallimento personale di Emmanuel Macron. Colui che si era presentato come l’antidoto alla decomposizione della politica francese ne è oggi il sintomo terminale. Un tecnocrate senza popolo, un liberale senza consenso, un simbolo senza funzione.
L’ultimo atto della sua presidenza, ormai, è già scritto: ha consegnato un’arma propagandistica a Hamas e tolto forza alla trattativa di pace, senza ottenere nulla in cambio. Nemmeno il grazie dei suoi avversari.
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