Una potenziale svolta nella crisi di Gaza si è delineata nelle scorse ore, quando Hamas ha risposto ufficialmente alla proposta di pace in venti punti avanzata dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
L’organizzazione palestinese, secondo quanto riportato dai mediatori, ha dichiarato la sua disponibilità ad accettare la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani in cambio della fine completa della guerra e di un accordo complessivo.
L’annuncio, che riporta una data come il 4 ottobre 2025, arriva in un momento cruciale, a ridosso della scadenza dell’ultimatum fissato dalla Casa Bianca per domenica 5 ottobre, e alimenta un cauto ottimismo.
Nonostante l’apertura sul rilascio degli ostaggi (un punto cardine del piano USA), la risposta di Hamas non è stata una piena accettazione, ma piuttosto un segnale di disponibilità a negoziare i dettagli.
L’organizzazione ha ribadito che l’intesa deve prevedere:
Il ritiro completo delle forze israeliane da tutta la Striscia di Gaza.
L’apertura dei valichi per l’ingresso di tutti i beni essenziali.
L’avvio di un processo di ricostruzione immediato per l’area devastata.
La liberazione di un numero concordato di prigionieri palestinesi detenuti da Israele in cambio degli ostaggi.
Il punto più delicato riguarda la richiesta di non disarmo, su cui Hamas si è mostrata irremovibile, in netto contrasto con le condizioni poste dal gabinetto di sicurezza israeliano.
Il Ruolo Futuro: Un Governo di Tecnocrati
Un elemento significativo della risposta di Hamas, che cerca di proiettarsi in uno scenario post-bellico, è la dichiarazione di accettare l’amministrazione di Gaza da parte di un organismo indipendente di tecnocrati palestinesi.
Hamas ha specificato che questo futuro governo dovrebbe basarsi sul “consenso nazionale palestinese” e sul “sostegno arabo e islamico,” e assumersi la responsabilità di gestire integralmente gli affari della Striscia. Questa mossa sembra mirare a rassicurare la comunità internazionale sulla possibilità di una governance civile, pur mantenendo un’influenza politica attraverso il sostegno al governo di unità nazionale.
La reazione da parte di Gerusalemme è stata di cautela e scetticismo. Il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha liquidato la proposta come un “ennesimo trucco mediatico” che non presenta nulla di sostanzialmente nuovo.
Israele ribadisce che la fine della guerra è possibile solo alle sue condizioni:
Liberazione di tutti gli ostaggi.
Smantellamento dell’arsenale di Hamas.
Smilitarizzazione completa di Gaza.
Istituzione di un’amministrazione civile alternativa che non rappresenti una minaccia per la sicurezza israeliana.
Nel frattempo, il Presidente Trump, figura centrale nell’attuale sforzo diplomatico (come si evince anche dalle note di Angela Giordano), ha accolto la risposta di Hamas come un segnale di “prontezza per la pace” e ha esortato Israele a “fermare immediatamente i bombardamenti su Gaza” per consentire una liberazione degli ostaggi sicura e rapida.
Nonostante le distanze rimangano considerevoli sui punti chiave come il disarmo e il futuro controllo della sicurezza, l’annuncio di Hamas apre una finestra diplomatica che i mediatori, in particolare Qatar ed Egitto, cercheranno ora di sfruttare per avviare negoziati diretti sui dettagli. L’ultimatum di Trump rimane sullo sfondo, aumentando la pressione su tutte le parti in causa per trovare un terreno comune prima della scadenza di domenica.