Professore Giordano, grazie per aver accettato di condividere i suoi ricordi e la sua prospettiva, e perché offre uno sguardo intimo sul suo legame con un gigante della scienza, James D. Watson, scopritore della doppia elica del DNA. Partiamo proprio da lì:
Com’è stato lavorare con lui nei laboratori di Cold Spring Harbor?
È stata un’opportunità straordinaria, un onore e una fortuna che ha segnato profondamente il mio percorso. Watson non era solo il direttore dei laboratori; era il padre della genetica moderna, un mentore con una visione scientifica ineguagliabile e un sostegno costante. Lavorare al suo fianco significava essere immersi in un ambiente di eccellenza pionieristica.
E in quell’ambiente, lei ha realizzato scoperte fondamentali.
Può parlarci della sua ricerca in quel periodo e del ruolo che Watson ha avuto?
Sotto la sua guida, e con il suo incoraggiamento, sono giunto alla scoperta di un meccanismo cruciale: quello delle cicline e delle CDK (chinasi ciclina-dipendenti). Abbiamo svelato il loro ruolo fondamentale nel regolare il ciclo cellulare e, cosa ancora più importante, il loro coinvolgimento nello sviluppo del cancro. Queste ricerche, che hanno identificato anche altre proteine essenziali in questo processo, hanno aperto la strada a una comprensione molto più profonda dei meccanismi di crescita e divisione cellulare, con ovvie e profonde implicazioni per la ricerca oncologica e la cura di molte altre patologie.
Emerge un particolare legame di Watson con Napoli, la città della Stazione Zoologica Anton Dohrn.
Che valore ha questo dettaglio per lei?
È un punto di connessione molto toccante. Watson mi parlava spesso del suo profondo affetto per Napoli. Non tutti sanno che fu proprio alla Stazione Zoologica Anton Dohrn che conobbe Francis Crick, e lì nacque quella straordinaria collaborazione che portò alla scoperta della struttura del DNA. Per me, lavorare a Cold Spring Harbor in un laboratorio ispirato proprio alla Dohrn, è stato il simbolo di un ponte ideale tra la grande tradizione scientifica italiana e quella internazionale.
Un ponte che è continuato anche a livello personale, come testimoniato dalla dedica che le fece sul suo celebre libro La doppia elica
Esattamente. Nel 2004 ebbi il piacere di ricevere da lui una copia con una dedica personale che conservo con grandissimo affetto. Quel gesto va oltre il valore del ricordo; è il segno tangibile di un’amicizia e di una profonda comunione di intenti che hanno arricchito il mio percorso, sia umano che scientifico.
Nel concludere il suo ricordo di Watson, lei menziona anche Francis Crick, Maurice Wilkins e Rosalind Franklin. Quanto è importante onorare l’intero team dietro a una scoperta così epocale?
È un dovere assoluto e un promemoria fondamentale per la scienza. La straordinaria avventura della scoperta della struttura del DNA non sarebbe stata possibile senza il loro ingegno collettivo, la loro tenacia e la loro visione. Nel celebrare Watson, è essenziale ricordare che il loro lavoro di squadra ha cambiato per sempre la storia della biologia e della medicina, aprendo orizzonti che continuano a ispirare la ricerca ancora oggi.
La scomparsa di Watson segna, come lei scrive, la fine di un’epoca. Qual è l’eredità più grande che lascia alla comunità scientifica?
La sua eredità è la quintessenza dello spirito scientifico: una curiosità inesauribile, uno spirito pionieristico e una incrollabile fiducia nella scienza come avventura dello spirito umano. Per me e per tutti coloro che credono nella conoscenza come la forza più grande per migliorare il mondo, James Watson resta un faro, un esempio di come la grande scienza debba essere audace, collaborativa e profondamente umana.
Professor Giordano, grazie per aver condiviso con noi un ricordo che restituisce il volto umano della grande scienza e il valore del legame tra generazioni di ricercatori.



