Si è conclusa la più famosa e discussa serie tv italiana. Al di là delle considerazioni sulla stagione finale, forse la peggiore delle cinque, rimangono l’inconfutabile successo di pubblico e l’attenzione che Gomorra ha convogliato nel mondo. Rimane anche il messaggio, costante nell’intera sequenza, che indica nella morte prematura e violenta la più probabile fine di chi vive una vita criminale. Non possiamo ignorare, nel recensire l’opera, l’elemento centrale, prevalente rispetto alla vicenda, al fascino dei personaggi, alla consistenza degli attori e della sceneggiatura: Gomorra è innanzitutto ambientazione. Fuori dal contesto territoriale e storico di appartenenza la storia raccontata perderebbe senso e forza attrattiva. L’ambientazione è la base imprescindibile dello storytelling. Condividiamo lo sguardo di Roberto Saviano che scrivendo il libro Gomorra stabilì inconsapevolmente l’inizio di quest’avventura. Giunti alla fine della saga, l’autore ha dichiarato attraverso i propri profili social: “Gomorra ha cambiato per sempre la serialità italiana, non solo: ha cambiato anche il modo di raccontare la criminalità organizzata. Esiste un prima e un dopo Gomorra – La serie. E sapete cosa? Gli attacchi che negli anni ci sono arrivati, soprattutto da chi ha un’idea manichea della realtà, divisa cioè tra buoni e cattivi, ci ha spinto a lavorare di più e meglio, a pretendere da noi stessi un impegno e una qualità ancora maggiori.” In principio Le prime due stagioni, le migliori, impeccabili, avevano tratteggiato la faida di Scampia,rappresentando una condizione estremamente reale fuori dalla finzione narrativa, e mostrando personaggi ben definiti, possibili. Oltre ai protagonisti, Genni, Don Pietro e Donna Imma Savastano, Ciro Di Marzio, Patrizia, Salvatore Conte, Scianel, ce ne sono stati molti, minori, ad arricchire la fiction con aspetti e storie crudi e concreti, con approfondimenti adeguati, interpretazioni notevoli. Facendo torto a tanti, per non dilungarci ne citiamo soltanto qualcuno, Zecchinetta, Malammore, ’O Track, ’O Principe, cattivi destinati a passare e sedimentarsi nel racconto e nel ricordo del pubblico. Poi Dopo sono venute stagioni meno sincere. I personaggi sono stati gonfiati a svantaggio del contesto nel quale erano calati, contesto che li aveva resi non reali, ma estremamente somiglianti al vero. La paranza del centro storico napoletano ha incrociato Scampia, oltre agli impegni finanziari che il rampollo Gennaro Savastano aveva radicato a Roma, portando una guerriglia dalla probabilità altalenante. Alla fine di uno scontro generalizzato, dopo che tutti i tasselli hanno trovato posto, siamo stati raggiunti da un evento inaspettato, eppure in questo caso assolutamente probabile, la morte di Ciro Di Marzio. Ecco la conferma che nel mondo della criminalità organizzata non esistono supereroi. Questo evento andava accettato, ma poi? La quarta La quarta stagione ci propone il nuovo nemico di Gennaro, figlio di re, i Levante parenti per parte di madre. Sarebbe la più pertinente delle conclusioni, una nuova faida tra Savastano e i Levante, ma i Levante non bucano lo schermo, non appassionano il pubblico. A rianimarci giunge dunque un nuovo evento inaspettato: Ciro Di Marzio è vivo. Il miracolo, sostanziato in uno spin-off, è propedeutico alla quinta stagione. Gomorra – stagione finale Siamo giunti dunque alla quinta faticosa stagione, nata sotto la stella dell’impossibile, dell’ultraterreno: Ciro Di Marzio ancora vivo dopo essere stato evidentemente ucciso. Ciro è in Lettonia dove si è rifatto una vita, pure questa criminale. Gennaro scopre che il vecchio amico non è morto, lo raggiunge e si ingelosisce. Perché sei fuggito senza comunicarmelo? Io soffrivo per la tua morte. Preso dalla rabbia, Genni fa rinchiudere Ciro in un gulag, lì l’immortale avrebbe dovuto trascorrere il resto dei suoi giorni, ma visto che entriamo in tema di supereroi, Ciro elimina i propri aguzzini e fugge. Tornato a Napoli intraprende la guerra contro l’amico fraterno (quello che lo aveva rinchiuso nel lager). Dulcis in fundo, torneranno amici per l’ultimo viaggio. Peccato che la stagione finale ci offra personaggi decisamente improbabili (’O Maestrale su tutti, troppo molle per il ruolo che ricopre) e approfonditi male. La vicenda tocca l’assurdo quando personaggi che hanno tutto da perdere, ed esperienza sufficiente per calcolare il rischio, si lanciano tra le braccia del nemico. Il sangue scorre, ma non fa sobbalzare dalla poltrona. Il contesto è blando contorno alle figure di Genni e Ciro (quasi un messia) per i quali ci prepariamo a piangere già dal primo episodio. Tra alti e bassi che ci hanno fatto prediligere questa e quello, in conclusione salviamo ’O Munaciello, odioso dal principio alla fine, a lui non abbiamo mai smesso di augurare il peggio. È il personaggio più riuscito. Azzurra, Donna Nunzia e Donna Luciana ci hanno fatto sperare ma, al giudizio finale, la tanta ingenuità le ha rese inattendibili. C’è poco altro. È stato bello comunque. Aspettiamo che il piccolo Pietro Savastano diventi adulto.