Usa-Russia: Pechino gioca di sponda?

La sospensione delle attività di una banca di investimento cinese in Russia, la bacchettata agli Usa, il curioso allineamento sino-indo-pakistano all’Assemblea generale dell’Onu, le mosse della Turchia, e delle monarchie arabe del Golfo: l’attacco russo all’Ucraina offre a Pechino l’opportunità di un riscatto geopolitico

In medio limite

Il 4 marzo, la banca di investimento cinese Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib) ha deciso di sospendere e revisionare tutte le attività legate alla Russia e alla Bielorussia, «data l’evoluzione della situazione economica e finanziaria». Nessun riferimento esplicito al braccio di ferro russo-statunitense in Ucraina, a parte una generica manifestazione di solidarietà alle vittime, coronata dall’espressione: «i nostri cuori sono con tutti quelli che soffrono». In precedenza, diversi organismi finanziari di Stato cinesi, compresa la Banca di Cina, avevano interrotto il finanziamento di progetti che coinvolgono prodotti russi. Eppure, nel caso della Aiib, non è che un gesto simbolico, non solo perché concerne solo, entrambi in Russia (nessuno in Bielorussia), ma anche perché non preclude a Pechino la possibilità di finanziare altri accordi o partenariati attraverso le banche di Stato. Peraltro, né la cooperazione strategica stabilita negli ultimi mesi, né le forniture russe alla Cina di grano e gas, che potrebbero offrire al Cremlino una valida alternativa ai mercati occidentali, sono ufficialmente in discussione (almeno finora). La mossa dell’Aiib ha dato dunque modo a Pechino di presentarsi come unico mediatore affidabile per il conflitto russo-statunitense. Non solo perché l’Impero del centro è la seconda potenza mondiale e, dal punto di vista economico, tecnologico e diplomatico, ha buone possibilità di insidiare la supremazia geopolitica globale di Washington. Ma anche, e forse soprattutto, in virtù della posizione formalmente favorevole della Cina a livello internazionale.

La terza via cinese

In primo luogo, da spettatore dello scontro tra Usa e Russia, Pechino non è schierata con nessuna delle parti in causa: né con l’Ucraina, essendosi astenuta alle votazioni della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite (Onu) e rifiutando di condannare la Russia; né con quest’ultima, difendendo l’integrità territoriale e la sovranità di tutti i paesi; né, tantomeno, con gli Stati uniti, cui attribuisce la responsabilità del conflitto con Mosca. Schierarsi con uno qualunque di questi attori significherebbe, infatti, adottare quelle dinamiche che la Cina bolla come da guerra fredda. Tanto più che le critiche sempre più frequenti dell’ingerenza statunitense negli affari interni dei suoi alleati, le impediscono di sostenere esplicitamente una qualsiasi forza politica ucraina. In secondo luogo, la Cina non ha solo un’intesa strategica (nella sostanza, forse, tattica) con la Russia, ma anche buone relazioni commerciali con l’Ucraina, che considera la porta europea delle nuove vie della seta (Belt and Road Initiative – Bri). Inoltre, l’Impero del centro non ha bisogno di ingaggiare ufficialmente conflitti armati oltre i suoi confini, né di sfidare esplicitamente il diritto internazionale per regolare miltarmente i conti con Taiwan e Hong Kong. Infine, dal punto di vista geostrategico, l’Impero del centro possiede solo due basi e due postazioni militari al di fuori del suo territorio (un’altra sarebbe in costruzione in Guinea Equatoriale), tutte in punti significativi per il commercio globale: basi militari a Gibuti e in Pakistan (base navale presso il porto di Gwadar, sul Golfo persico) e postazioni militari in Myanmar (navale) e Tajikistan.

Assestamenti orientali

Il 4 marzo, il quotidiano giapponese in lingua inglese Nikkei, ha dedicato il podcast della rubrica Asia Stream al «triangolo amoroso» tra Russia, Cina e India, emerso dall’astensione delle ultime due alla votazione della risoluzione Aggressione all’Ucraina dell’Assemblea generale dell’Onu. Il giorno prima, di fronte alle richieste di Usa, Giappone e Australia di condannare esplicitamente Mosca allineandosi agli altri membri del Quad, il quadrilatero democratico del Pacifico, New Delhi sembra non voler rinunciare alla neutralità. Una posizione apparentemente incomprensibile dal punto di vista di Tokyo (che invece considera naturale che Pechino e il suo regime autoritario sostengano la Russia), non solo perché accomuna India e Pakistan, ma anche perché in contrasto con l’avvicinamento progressivo a Washington negli ultimi anni, anche in funzione anti-cinese. Come osserva il quotidiano indiano The Indian Express, alla base dell’astensione sul conflitto in Ucraina, c’è l’eredità dell’ex presidente Jawaharlal Nehru, che assieme ai suoi omologhi jugoslavo ed egiziano aveva concepito la proposta di una terza via, soprattutto per i paesi usciti dal dramma del colonialismo, rispetto alla logica di potenza. Finora, il Movimento dei non allineati non ha espresso una posizione ufficiale sullo scontro tra Usa e Russia in Ucraina, ma è significativo che molti paesi africani e asiatici abbiano scelto la neutralità. Tra i 12 paesi che non hanno partecipato alla votazione dell’Assemblea generale, 8 sono africani, tra cui il Marocco, storico alleato di Washington, mentre gli altri tre sono Azerbaijan, Turkmenistan e Uzbekistan. Inoltre, dei 35 astenuti, i paesi africani sono 19, mentre l’Eritrea è tra i cinque che hanno votato contro.

Il crepuscolo degli imperi

L’emergere della Cina come potenza mondiale in grado di investire e finanziare partenariati nei paesi che aderiscono al suo progetto globale, ma indifferente alle loro vicissitudini politiche interne, ha attratto nell’orbita cinese molti Stati che un tempo contavano solo su Washington, a costo di tollerarne le bacchettate in tema di democrazia e diritti umani. Ora, dunque, l’attacco russo all’Ucraina offre a Pechino una sponda ideale per proporre il proprio modello di relazioni internazionali, alternativo a quelli di entrambe le vecchie potenze antagoniste della guerra fredda. La convergenza indo-pakistana nella neutralità rispetto allo scontro russo-statunitense potrebbe quindi essere considerata uno dei tanti scricchiolii dell’impero di Washington, che molti paesi in Asia, Africa e Medio Oriente accusano di inaffidabilità, doppio standard, strumentalizzazione delle questioni umanitarie e manipolazione utilitaristica degli alleati, sistematicamente abbandonati in caso di sconfitta. Un altro segnale di declino della superpotenza Usa è la scelta delle monarchie arabe del Golfo di stabilire relazioni, almeno economiche, con l’Impero del centro. Soprattutto gli Emirati arabi uniti (Eau), che ultimamente hanno elaborato una propria visione strategica del Medio Oriente, sottraendosi al predominio geopolitico saudita. A fine febbraio, infatti Abu Dhabi ha annunciato l’acquisto dalla Cina di aerei da addestramento avanzato Hongdu L-15 Lie Ying, dopo aver acquistato F-35 dagli Usa e Rafale dalla Francia. A tal proposito, occorre ricordare che alla votazione sull’ultima risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, gli Eau, dall’alto della loro presidenza di turno, hanno preferito astenersi.

Neutralità turca

Un terzo indizio della possibile fine dell’egemonia globale statunitense, infine, può essere la posizione della Turchia nell’attuale scontro tra Washington e Mosca. Ankara, ad esempio, ha definito inaccettabile l’attacco russo all’Ucraina, ma ha rifiutato di definirlo invasione e non intende applicare le sanzioni ai danni di Mosca. Inoltre, negli ultimi giorni, il vice ministro degli Esteri turco ha ribadito la posizione neutrale di Ankara (già chiara, peraltro, dal profilo basso scelto dalla Turchia sul mar Nero), precisando che la vendita di droni a Kiev non è un aiuto militare, ma il frutto di un contratto stipulato da una società privata turca, che potrebbe siglarne con qualunque altro soggetto interessato ai suoi prodotti. L’atteggiamento turco, dunque, rispecchia quello cinese (incluso il fatto di proporsi come mediatore tra Russia e Ucraina), ma Ankara, al contrario di Pechino, non ha il peso economico e geopolitico necessario per competere con Washington. Nondimeno, l’equilibrio turco, come quello emiratino, lascia intendere il declino dell’impero statunitense nella misura in cui consente di intravederne la ridotta capacità di procacciarsi alleati solidi. Persino Israele ha rifiutato di sponsorizzare la bozza di risoluzione al Consiglio di sicurezza Onu, preferendo evitare di prendere esplicitamente posizione contro Mosca. Intanto, Pechino, che alle potenze occidentali può rimproverare i trattati ineguali del XIX secolo, e che appare meno suscettibile della Russia alle provocazioni muscolari, ha l’opportunità di porsi come arbitro.

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