Il mondo della comunicazione è sempre più caratterizzato dalla presenza accanto ai giornalisti dei famigerati influencer.
Di fatti, al giorno d’oggi, sembra che sia sufficiente possedere uno smartphone e una connessione per influenzare i flussi narrativi di aziende e istituzioni pubbliche, modificando, spesso, la loro narrazione comunicata in conferenza stampa. Alle conferenze per il lancio di un prodotto sul mercato si assiste sempre di più alla presenza degli influencer scelti per la la capcità di lanciare messaggi immediati e diretti nei confronti del target a cui ci si vuol riferire in maniera privilegiata.
Tra queste due categorie stanno emergendo delle rivalità. Eppure giornalisti e influencer se integrati nel modo giusto potrebbero dare alle aziende un valore aggiunto in termini di brand, posizionamento e responsabilità sociale. Sull’ incontro/scontro tra un’informazione immediata e veloce ed una informazione mediata, lenta, ma autorevole, perché garantita da testate storiche e prestigiose che sono esse stesse riconosciute dall’opinione pubblica come brand affidabili ci fa chiarezza, Francesca Caon, titolare di CAON Public Relations, società di pubbliche relazioni e autrice del libro ‘I dieci comandamenti delle PR’, edito da Roi Edizioni, in questa intervista.
È davvero possibile conciliare l’ambito del giornalismo con quello degli influencer al giorno d’oggi?
La sinergia tra giornalismo e influencer può essere rafforzata da una riflessione congiunta sulle responsabilità che comporta il comunicare al grande pubblico. Il giornalista si attiene a un rigoroso codice deontologico ed è il custode dell’indagine approfondita e della veridicità dell’informazione, dall’altra, l’influencer è il connettore immediato con il pubblico e il veicolo di un messaggio che colpisce al cuore dell’audience.
Conciliare i due ambiti si traduce nella creazione di un linguaggio comune che possa trasmettere affidabilità e trasparenza. Ad esempio, l’integrazione di pratiche giornalistiche nell’attività degli influencer, come la verifica delle fonti e la contestualizzazione delle notizie, può aumentare la sostanza dei contenuti condivisi, andando oltre la superficiale immediata reattività dei social. Inoltre, la collaborazione con i giornalisti può guidare gli influencer nell’affrontare temi complessi con la dovuta responsabilità e profondità, ampliando così il loro impatto al di là della mera visibilità.
Per i giornalisti, l’uso consapevole delle piattaforme digitali per la diffusione di contenuti può tradursi in una maggiore capillarità informativa. I social network, gestiti con criteri giornalistici, diventano strumenti potenti per l’accessibilità alle notizie e per la democratizzazione dell’informazione, permettendo di raggiungere un pubblico che altrimenti resterebbe escluso dai canali tradizionali.
Gli influencer, a loro volta, possono beneficiare di una maggiore credibilità e di un pubblico più ampio grazie alla collaborazione con professionisti del settore. La chiave di questa sinergia sta nel bilanciare intrattenimento e informazione, senza compromettere l’integrità del messaggio giornalistico. Un esempio pratico di questa integrazione può essere visto nelle campagne di sensibilizzazione su temi sociali, dove il giornalista fornisce il contesto e la profondità dell’argomento, mentre l’influencer lo rende virale attraverso la propria rete. Un altro esempio può essere l’utilizzo dei social media per trasmettere in tempo reale eventi di rilevanza giornalistica, con l’influencer che agisce come amplificatore del lavoro del giornalista.
Perché c’è tanta rivalità tra queste due categorie?
La rivalità tra giornalisti e influencer è spesso percepita come una tensione derivante dall’evoluzione dei media e dalla diversificazione dei canali informativi. Da un lato, abbiamo il giornalismo, con la sua tradizione di ricerca della verità, indagine approfondita e impegno verso l’obiettività. Dall’altro, il mondo degli influencer, che si basa sull’impatto immediato, la personalizzazione e umanizzazione del messaggio e un rapporto quasi personale con i seguaci.
La radice di questa rivalità si annida nell’apparente contraddizione tra la profondità informativa del giornalismo e la superficialità che a volte è associata al lavoro degli influencer, che sembra più focalizzato sull’immagine e sul marketing personale.
A questa percezione, poi, si aggiunge la crisi dell’editoria, e quindi la riduzione degli investimenti pubblicitari nel settore, alla quale fanno da contraltare le cifre esorbitanti guadagnate dai creator. Per farla breve, serpeggia un po’ di invidia da parte di giornalisti pagati pochi euro ad articolo nei confronti di persone ricche e famose a suon di adv.
Come e in che maniera la comunicazione degli influencer risulta più immediata tanto da essere spesso preferita dalle aziende per il lancio di un prodotto?
Gli influencer risuonano direttamente con il loro pubblico, creando un legame emotivo forte. Questo aspetto li rende particolarmente appetibili per le aziende che cercano di lanciare un prodotto con un messaggio che sia non solo visto ma sentito dal target di riferimento. L’immediatezza deriva anche dalla natura delle piattaforme social, che permettono una diffusione virale dei contenuti, offrendo alle aziende una visibilità e un engagement difficilmente raggiungibili con i canali tradizionali.
Con gli influencer la narrazione aziendale diventa spesso un racconto corale, modellato dalle personalità digitali che ne interpretano i valori e li trasmettono ai loro seguaci. Gli influencer hanno il potere di umanizzare un brand, di renderlo accessibile e vicino alla vita quotidiana delle persone. La capacità di ingaggiare la loro community ha un impatto diretto sull’identità e sulla percezione del brand. Inoltre, possono influenzare notevolmente le decisioni d’acquisto del loro pubblico, dato che i loro pareri vengono percepiti come autentici e fidati.
L’ascesa degli influencer quanto sta danneggiando il mondo dell’editoria?
L’ascesa degli influencer nel panorama mediatico non può essere considerata un fenomeno isolato ma piuttosto parte di un cambiamento più ampio che coinvolge anche i giornalisti. Sempre di più, i professionisti dell’informazione si trovano a navigare in acque dove il personal branding e le tecniche di marketing hanno un peso significativo, non solo per la loro visibilità ma anche per la risonanza che ne consegue.
È indubbio che tale tendenza ponga delle sfide etiche e professionali. Da un lato, la capacità di un giornalista di costruire un seguito personale può amplificare il raggio d’azione dell’informazione di qualità. Dall’altro, sorge il pericolo che la ricerca dell’attenzione si traduca in una corsa all’acchiappalike, dove il valore della notizia è secondario rispetto alla sua capacità di generare interazioni. I giornalisti, in quanto comunicatori professionisti, devono quindi bilanciare l’esigenza di restare rilevanti in un mercato che premia la visibilità con la responsabilità etica di fornire un’informazione accurata e approfondita. Il rischio è che l’enfasi sul personal branding possa sfociare in una personalizzazione eccessiva del messaggio informativo, con il pericolo di una deriva verso la spettacolarizzazione dell’informazione piuttosto che verso la sua comprensione.
È essenziale, quindi, che il mondo dell’editoria e i giornalisti stessi non perdano di vista l’importanza del contenuto rispetto al contenitore, dell’accuratezza rispetto all’apparenza, della sostanza rispetto alla forma. Si può e si deve investire sul personal branding, ma senza sacrificare l’integrità e la qualità dell’informazione, che deve rimanere al centro del lavoro giornalistico.
In questo scenario, la sfida maggiore per i giornalisti è quella di riuscire a sfruttare i meccanismi dell’influencer marketing per potenziare l’impatto sociale dell’informazione, senza cadere nella trappola di un giornalismo che mette in secondo piano la verità e la profondità a favore di un facile consenso. Il futuro dell’editoria sarà fortemente influenzato dalla capacità di questi professionisti di adattarsi mantenendo inalterati i principi fondamentali del giornalismo.
Da PR, quali consigli daresti per mediare tra queste due categorie dell’ambito della comunicazione?
In qualità di PR suggerirei di favorire progetti congiunti che si avvalgano sia dell’autorevolezza giornalistica che della portata degli influencer. Workshop e sessioni di formazione incrociata possono servire a sfatare i pregiudizi e ad esplorare come le competenze di ciascuno possano essere messe al servizio comune. L’obiettivo è costruire una narrazione condivisa che elevi la qualità del messaggio e ne moltiplichi l’impatto.
Inoltre, è importante sviluppare un codice etico e deontologico anche per gli influencer, garantendo che l’integrità del contenuto e la trasparenza verso il pubblico siano sempre mantenute. La creazione di linee guida etiche chiare assicura che tutte le parti coinvolte comunichino in modo responsabile, preservando l’autenticità e la fiducia, valori imprescindibili nel mondo della comunicazione.
Mediare tra questi due mondi non significa cercare un compromesso, ma piuttosto costruire un ecosistema comunicativo in cui l’affidabilità informativa e l’ingaggio emotivo coesistano, alimentando un flusso informativo che sia non solo più ampio, ma anche più profondo e arricchente.