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 Intervista alla scrittrice Mariacristina Di Giuseppe

Il dolore ti trasforma; a volte ti offre un gradino per elevarti, per guardare le cose della vita da un...

IN QUESTO ARTICOLO

Il dolore ti trasforma; a volte ti offre un gradino per elevarti,

per guardare le cose della vita da un altro punto di vista.

Come scrivo ne “L’armaru”,

L’esperienza si nutre d’emozioni, di attimi di creazione che crescono e ci portano a comprendere il nostro cammino. L’ospite di oggi muove i primi passi nel mondo artistico tramite la fotografia: l’arte di saper cogliere l’attimo e renderlo immortale, imprimendolo su carta, e ciò l’accomuna alla scrittura anch’essa imprime parole rendendole eterne su pagina. Scrivere è saper comunicare appieno il proprio pensiero, saper donare emozioni che poi, grazie alle parole, verranno trasmutate in vari settori artistici: che si parli di un soggetto teatrale, un testo musicale o di un romanzo.  La scrittura compie quel passaggio necessario affinché arti diverse possano realizzare il loro intento. L’ospite di oggi in questo eccelle! Ha un bagaglio di esperienze lavorative importanti e dopo essersi cimentata nel campo fotografico, realizzando cover, booklet e manifesti per diversi artisti, tra i quali Edoardo De Angelis, Sergio Endrigo, Bruno Lauzi, Ennio Morricone, Clara Murtas, Tosca.

L’esperienza la porta a scoprire in sé l’attitudine a una particolare forma di scrittura, “sospesa tra la cifra poetica e il fluire della prosa”. Questo apre in lei nuove strade lavorative che nel tempo la porteranno a importanti collaborazioni e grandi soddisfazioni.  Dedita alla scrittura, si cimenta in vari campi artistici che vanno dalla stesura di testi teatrali, musicali, alla figura di paroliera per artisti di calibro come Edoardo De Angelis, Amedeo Minghi, Neri Marcorè, Milva, Antonella Ruggiero.   

Ma conosciamola nel dettaglio: romana di nascita, classe 1970, compie gli studi classici e quelli accademici di carattere storico-politico coltivando, parallelamente, una grande passione per la fotografia. È autrice degli interventi di scrittura, offerti alla voce di Tosca, per il teatrale musicale Altre emozioni – Omaggio a Sergio Endrigo, nella serie di concerti andati in scena con l’Orchestra Sinfonica e Coro del Friuli Venezia Giulia. In seguito, è chiamata a scrivere pagine destinate a voci recitanti, tra canzone e canzone, nella produzione del Teatro Massimo di Palermo Summertime – Ninnananne dalla Sicilia e dal Mondo, con la partecipazione di Antonella Ruggiero e dell’Orchestra Sinfonica residente. Nel 2009 scrive con Edoardo De Angelis, su musiche di Valter Sivilotti, i testi del balletto. Voglio essere libero ispirato alla vita di Rudolph Nureyev, presentato nello stesso anno al Mittelfest di Cividale nel Friuli e al Myth Fest di Positano. Queste esperienze la conducono a cimentarsi nella stesura di alcuni testi di canzoni per Edoardo De Angelis, e in uno dei lavori discografici dell’artista romano, la sua lirica “Spasimo” è prestata alla caratteristica voce di Andrea Camilleri. Collabora, inoltre, alla scrittura di testi per Amedeo Minghi, Neri Marcorè, Milva, Antonella Ruggiero. Nel 2014, il romanzo Sale di Sicilia affidato ai tipi di Navarra Editore, segna il suo esordio nel mondo della narrativa. Nel dicembre 2019, vede la luce il suo secondo romanzo, Maremmana, affidato anch’esso ai tipi e alla cura di Navarra Editore. È uscito da pochi giorni per la Navarra Editore il suo nuovo romanzo: “L’armaru”, adattamento del teatrale omonimo nato da un’idea condivisa con Laura Mollica. Di ambientazione siciliana, il romanzo contiene, in forma di QR code, canzoni del repertorio tradizionale e contemporaneo dell’Isola, affidate alla voce di Laura Mollica e agli arrangiamenti del maestro Giuseppe Greco.

E come potete ben immaginare c’è davvero tanto oggi da dire e da scoprire insieme a questa artista della parola. E sono davvero curiosa di conoscerla meglio; e allacciandomi alla sua Lirica “Spasimo”, recitata da Camilleri, estrapolo questo verso: “Punto le gambe, predispongo il cuore, bilancio occhi e respiro”. In queste parole mi sorge una curiosità… che mi toglierò in questa intervista.

Innanzitutto, la ringrazio di essere qui e le chiedo: come è nata in lei la passione per la fotografia?

È stata la prima forma d’arte che mi ha chiamato alla creazione. Durante un’uscita didattica, in terza elementare, con la mia Polaroid in spalla, ho varcato la soglia di Castel Sant’Angelo e, contestualmente, quella del fantastico mondo della fotografia. Ricordo ancora il primo scatto di quella giornata così inaspettatamente significativa. Mi sentivo grande. Il canto delle sirene della fotografia lo avevo sentito molto tempo prima, quando da ancor più piccola osservavo mio padre curvo sulle vasche di sviluppo e fissaggio, nella magia della camera oscura. Era il suo hobby. Realizzava stampe da regalare alla famiglia e agli amici e costruiva, cartoncino dopo cartoncino, immagine dopo immagine, la casa dei ricordi comuni. Era tutto bellissimo.

Tra i vari lavori eseguiti in campo fotografico, quale l’è rimasto particolarmente nel cuore?

Prediligo realizzare ritratti ambientati, fotografare le persone che si muovono in un contesto ben preciso. Mentre si rapportano a esso, che sia il luogo di lavoro, la propria dimora, la natura, o altro, ci svelano qualcosa di sé, oltre la consapevolezza. In questo modo si fotografano tre soggetti: la persona, il contesto, e la relazione tra i due. È un modo di raccontare il loro “stare al mondo”; è una forma di narrazione che può dire tanto senza l’uso di parole. Per rispondere più puntualmente alla tua domanda direi che li amo tutti, anche quelli più faticosi, noiosi, meno riusciti. Li sento come paragrafi di un unico romanzo… e non è retorica.

Dopo l’esperienza in campo fotografico, la scrittura diviene parte integrante della sua vita.  Qual è stato il primo scritto che l’ha spinta continuare in tale direzione?

Banalmente… una poesia scritta guardando il mare da un affaccio di un albergo. Era già adulta. Mai, prima di allora avevo pensato di scrivere in termini creativi. Quel giorno è accaduto qualcosa di particolare. Mentre scrivevo sentivo l’emozione scorrermi nelle vene. Fu un evento inaspettato e lietissimo. Era una poesia sul mare. La penso sempre con tenerezza.

 L’immagine, quanto la parola, sa comunicare; nel suo comporre quanta ispirazione prende dall’ immagine, da ciò che la circonda?

Tantissima. Scrivo per immagini. Ho portato il mio amore per la fotografia dentro questa dimensione espressiva in modo naturale, inevitabilmente direi. Siamo somme di esperienze, e viaggiamo con bagagli sempre più corposi. Abbondo nelle descrizioni di personaggi e di luoghi proprio per fornire elementi utili all’immaginazione del lettore, che pur in assoluta libertà, vorrei avesse comunque qualcosa della mia… Offro fotografie di luoghi e persone sotto forma di parole.   

Ha collaborato come paroliera per grandi nomi della musica italiana.  Tra le canzoni scritte ce n’è una che sente più vicina alla sua persona?

“Mamèn”, la prima con un mio testo integrale, a seguire “Sale di Sicilia” e “Spasimo”. Una triade che amo particolarmente. La prima è contenuta in Historias di Edoardo De Angelis, e le altre due in “Sale di Sicilia”, sempre di Edoardo De Angelis. Un lavoro corale che condivide il titolo con il mio primo romanzo e che contiene l’omonimo brano scritto da me e da Edoardo De Angelis, con versione siciliana di Francesco Giunta. Spasimo è, invece, una piccola suite che contiene, tra le altre mirabili cose, un mio testo letto da Andrea Camilleri, e a seguire un frammento di Stranizza d’amuri cantata da Franco Battiato su un tappeto di zampogna.  

Secondo lei qual è la canzone più bella di tutti i tempi?

Fatico davvero a sceglierne una nel bel mazzo di rose. Questa volta, però, voglio accontentarti. “Across the Universe” dei Beatles. Subito dopo almeno altre dieci… 

Nel 2009 scrive con Edoardo De Angelis, su musiche di Valter Sivilotti, i testi del balletto. “Voglio essere libero ispirato alla vita di Rudolph Nureyev”, presentato nello stesso anno al Mittelfest di Cividale nel Friuli e al Myth Fest di Positano. Un aneddoto di questa sua esperienza.

Il mondo del balletto è una galassia a sé stante. È stato come avere un passaporto per lo spazio. Ne sono entrata e uscita in punta di piedi. Quando a Positano ho guadagnato il palcoscenico per gli applausi finali mi sono sentita fuori luogo, una profana ospitata in una cattedrale. È un mondo magico, abitato da grandi professionisti, che sembrano vivere una vita diversa dalla nostra, in un altrove. Onorata di aver avuto questo punto di contatto.

Definiscono la sua scrittura come sospesa “tra la cifra poetica e il fluire della prosa”. Il saper fluire è forse la parte più difficile per un narratore, nella sua esperienza quanto conta scrivere in modo fluido ed efficace?  

Fluisco da un genere all’altro o, meglio, spesso rimango sospesa tra i due. Quanto ad avere una scrittura fluida, non ne sarei così sicura… Sono un po’ manzoniana, non per scelta ma per natura.  I miei pensieri sono ricchi di subordinate, e tendo a trasferirle anche nella scrittura. Scrivo come penso, con un po’ di labor limae, certamente, ma neanche troppo.

Charles Bukowski alla domanda “Che differenza c’è tra poesia e prosa?” rispose: “La poesia dice troppo in pochissimo tempo, la prosa dice poco e ci mette un bel po’”. Una sua considerazione.

Tutto sommato, sottoscrivo…

Pubblica il suo primo romanzo nel 2014 “Sale di Sicilia” edito da Navarra Editore, con la prefazione di Neri Marcorè. Da dove è nata l’idea di questo titolo?

Basta guardare i siciliani negli occhi per capire da dove venga il titolo. Il sale che hanno nell’aria, lo respirano e lo restituiscono con grande generosità di sentimento e intelletto. La Sicilia ha condito la mia esistenza.  

Sia in “Sale di Sicilia”, sia nel suo secondo romanzo “Maremmana”, editi entrambi da Navarra Editore, il cambiamento di vita appare la chiave per riprendersi dal dolore. Spesso vedere la vita sotto un’altra prospettiva, seppur il nostro inconscio sia dolorante, può condurci ad una apertura ad un nuovo inizio. Questo è anche il caso di Vittorio, protagonista di Sale di Sicilia e Lorenza, protagonista di Maremmana?

Il dolore ti trasforma; a volte ti offre un gradino per elevarti, per guardare le cose della vita da un altro punto di vista. Come scrivo ne “L’armaru”, da una caduta, da un “culo a terra” ci si può rialzare e ripartire con determinazione. I momenti difficili sono passaggi che vorremmo evitarci, ma quando non è possibile, meglio pensare di viverli come opportunità di crescita. Come si dice, nel buio si possono vedere meglio le stelle.  È proprio così.

Da pochi giorni è uscito il suo nuovo libro. “L’armaru” edito da Navarra Editore.  Ho avuto modo di leggerlo e amarlo, e le chiedo: tra le figure femminili di questo suo bellissimo romanzo, si sente più affine ad Agata o Anita?

Direi Anita. Non l’ho descritta pensando a me, ma tra le due figure è quella che con me ha più punti di contatto.

La figura della nonna nella sua vita è stata importante?

Importantissima. Non c’è più da tanti anni, ma è sempre con me. Un riferimento affettivo continuo. Una campana di vetro che mi conforta, dalla quale non voglio uscire.

In questo suo romanzo ci trasporta in storie di donne coraggiose, combattive, legate alla famiglia e pronte a tutto per proteggerla. Contro però una società che non dà loro voce … A oggi la situazione in molti paesi del mondo è ancor molto simile allo spaccato che lei narra. Una sua considerazione.

La nostra è una società ancora profondamente maschilista. La cura della famiglia e degli affetti è quasi esclusivamente delegata alle donne, che per ottemperare a ciò devono per forza di cose sacrificare altri aspetti della loro esistenza, se non l’esistenza stessa. Ci vorrebbe più equilibrio, ci vorrebbero più opportunità pensate su misura per le donne, ma anche per gli uomini che volessero occuparsi di più di questo aspetto familiare. La cura è un aspetto importante e meraviglioso da praticare senza che sia richiesto spirito di abnegazione o annullamento di sé. Se non hai gli strumenti adeguati, alla fine ti convinci che quella sia l’unica via, e non riesci, in ragione di ciò, ad attivare un pensiero laterale.

Come è nata l’idea dell’armadio? L’armaru.

L’armaru nasce da uno spunto lanciato da Laura Mollica, un’artista siciliana che stimo moltissimo. La prima stesura è nata per il teatro. Dopo anni, Laura voleva mettersi di nuovo in gioco come attrice, e pensava che il mio mondo, il mio modo di scrivere, il mio sentimentalismo potessero accostarsi alla sua espressività sanguigna. Mi ha chiesto, così, un testo con dentro una Sicilia al femminile, un testo che parlasse di sentimenti e società. Un testo che trattasse di donne ma si rivolgesse a tutti. 

E giungo alla mia curiosità iniziale: “Punto le gambe predispongo il cuore, bilancio occhi e respiro”. In questo verso, tratto dalla sua lirica “Spasimo”, le interpretazioni sono tante… Le gambe salde alla terra e il cuore che si apre al cielo… e quel lanciarsi nell’ ignoto: occhi e respiro. Quanto razionalità e sogno lottano nei suoi giorni e quale delle due parti vince?

È una bella contesa. Diciamo che pratico una razionalità sentimentale, che lascia posto al sogno. 

Maggiori info sull’ autrice, sul suo sito

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