(Dall’inviato Piero Spinucci) – Il numero 79 che illumina uno dei grattacieli di Tel Aviv. Poco più in là un secondo grattacielo con un altro numero, 489. Rappresentano rispettivamente gli ostaggi ancora nelle mani delle fazioni palestinesi ed i giorni passati dall’attacco del 7 ottobre, mentre si avvicina un nuovo scambio con Hamas. La ferita è ancora aperta, ma nello Stato ebraico già si ragiona sul futuro di Gaza. A tenere banco è la controversa proposta lanciata dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di prendere il controllo dell’enclave e trasformarla nella Riviera del Medio Oriente, con annessa espulsione forzata della popolazione. La questione è stata affrontata dal ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, e dal titolare della Farnesina, Antonio Tajani, arrivato a Ashdod per la consegna di 15 camion e 15 tonnellate di aiuti donati dal governo italiano al Pam per la popolazione di Gaza.
Il piano di Trump trova terreno fertile qui nel sud dello Stato ebraico. ”Israele e Italia sono stretti alleati e i nostri governi oggi sono stretti alleati con il presidente Trump e la sua amministrazione. Credo sia importante ascoltare attentamente le nuove idee che sono state proposte. Gaza è un’esperienza fallita” e “nel suo stato attuale non ha futuro. Dobbiamo cercare di trovare una soluzione diversa”, ha chiarito Sa’ar nel corso di una conferenza stampa congiunta con Tajani.
Al ministro israeliano la proposta del tycoon repubblicano piace – le lodi si susseguono – e, anzi, ritiene che gli Stati Uniti siano un ”ottimo candidato” per rimettere a posto la Striscia di Gaza una volta conclusa la guerra. Meno deciso Sa’ar si mostra sull’attuazione delle fasi due e tre dell’accordo con Hamas. Bene se gli obiettivi si possono raggiungere con la diplomazia, ma l’opzione di riprendere la guerra non è accantonata, è il senso del suo ragionamento.