Allarme longevità: ecco dove si vive di più (e dove si muore prima) in Europa

Allarme longevità: ecco dove si vive di più (e dove si muore prima) in Europa

Allarme longevità

L’Europa allunga la vita, ma non per tutti: nel 2023 l’aspettativa media tocca gli 81,5 anni, con squilibri crescenti tra est e ovest

Nel 2023, l’Unione Europea ha registrato un nuovo massimo storico: l’aspettativa di vita media alla nascita ha toccato quota 81,5 anni. Un dato che, dopo il crollo causato dalla pandemia, segna il ritorno su un trend positivo, superando persino i livelli del 2019. Tuttavia, dietro questa apparente buona notizia si nascondono profondi squilibri: tra Paesi, tra generi, tra regioni. Il luogo in cui si nasce in Europa continua a determinare, in modo sempre più marcato, quanta vita ci si può aspettare.

I numeri provengono da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, che ha diffuso nei giorni scorsi le stime aggiornate. Se la media continentale migliora, la forbice tra gli Stati resta ampia: dai 84 anni della Spagna ai 75 della Bulgaria, passando per gli 83,8 dell’Italia e i 76,6 della Romania. Nove anni di differenza, dentro lo stesso spazio politico ed economico.

La frattura tra est e ovest: il destino scritto nei confini geopolitici

La geografia della longevità ricalca, senza troppe sorprese, quella delle diseguaglianze economiche e sociali. L’Europa occidentale, in particolare l’area mediterranea, continua a dominare le classifiche per aspettativa di vita. Spagna, Italia, Francia, Svizzera: tutti Paesi con sistemi sanitari robusti, regimi alimentari più sani, una minore incidenza di morti premature per cause prevenibili.

All’est, invece, le difficoltà permangono: in Bulgaria, Lettonia, Romania, la vita media resta sotto i 77 anni. Gli effetti della transizione post-sovietica, uniti a un minore investimento in prevenzione e cura, continuano a pesare.

Anche a livello regionale le differenze sono estreme. La Comunidad de Madrid è in cima alla classifica con 86,1 anni, seguita da Trento e dalle isole Åland (Finlandia), entrambe a 85,1. In fondo, regioni rurali della Bulgaria e dell’Ungheria con valori intorno ai 73-74 anni.

La longevità femminile: un vantaggio biologico e culturale

Un altro dato strutturale che resiste ai cambiamenti è la distanza tra i sessi: nel 2023, le donne dell’UE vivono in media 84 anni, gli uomini 78,7. Il vantaggio femminile è di 5,3 anni, stabile rispetto agli anni precedenti.

Dietro questo scarto si nascondono fattori biologici, comportamentali e culturali: gli uomini sono più esposti a comportamenti a rischio, tassi di suicidio più elevati, maggiore incidenza di malattie cardiovascolari e minore frequenza di controlli medici.

In alcuni Paesi dell’est, come Lituania e Lettonia, il divario supera i 9 anni. In Svezia e Olanda, invece, scende sotto i 4. Una variabile che gli esperti seguono con attenzione, anche in relazione al diverso impatto delle politiche di welfare e prevenzione.

Vivere più a lungo o vivere meglio? Gli anni di vita in buona salute

Ma vivere di più non significa necessariamente vivere meglio. Sempre Eurostat, nel suo report, distingue tra aspettativa di vita totale e quella “in buona salute”: ovvero senza limitazioni gravi nelle attività quotidiane. Qui i numeri si riducono: in media 64,5 anni per le donne e 63,5 per gli uomini.

L’Italia, anche in questo caso, si posiziona in alto, con una media di 68,7 anni per le donne e 67,2 per gli uomini. Ma l’invecchiamento della popolazione pone interrogativi sulla qualità dell’assistenza, sull’autosufficienza, sul ruolo delle famiglie nel supporto agli anziani. La questione non è più solo sanitaria, ma economica e culturale.

La sfida demografica: meno figli, più anziani, un equilibrio fragile

Il quadro generale si completa con un altro trend: il progressivo invecchiamento della popolazione europea. Secondo le previsioni della Commissione, il rapporto tra persone in età lavorativa e pensionati continuerà a scendere. Nel 2002 c’erano 3,8 lavoratori per ogni over 65, oggi sono 2,8. Entro il 2050, potrebbero essere solo 2.

Questo squilibrio ha conseguenze dirette su pensioni, assistenza, produttività. E diventa un tema politico sempre più caldo, tra riforme previdenziali, incentivi alla natalità e gestione dei flussi migratori. L’allungamento della vita è una conquista, ma rischia di trasformarsi in una fragilità se non accompagnato da politiche sistemiche.

Oltre i numeri: la percezione sociale della vecchiaia e del tempo

Infine, c’è una dimensione meno misurabile ma altrettanto rilevante: quella culturale. In molte società europee, l’invecchiamento viene ancora vissuto come una perdita, un declino. Ma le nuove generazioni di anziani stanno ridefinendo il concetto stesso di età: più attivi, più informati, spesso economicamente centrali nelle reti familiari.

La longevità non è solo una questione di anni, ma di senso. E di come le istituzioni, la medicina, l’economia sapranno adattarsi a questa trasformazione silenziosa. Perché vivere più a lungo ha un valore solo se vivere resta un’esperienza significativa.

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