Trent’anni di stasi salariale in Italia, un’anomalia


Sono trent’anni che la lancetta dei salari dei lavoratori italiani sembra essersi inceppata.

L’immobilità dei salari è sconcertante. Questo colloca l’Italia come un caso isolato e preoccupante tra le economie avanzate, in cui la situazione dei salari è spesso meglio gestita.

Non si tratta di una criticità congiunturale. Invece, è un’anomalia quasi strutturale, le cui ripercussioni negative si estendono dal potere d’acquisto delle famiglie alla dinamicità dell’intero sistema economico e al tessuto sociale del Paese.

Il governo pronto ad intervenire sui prezzi di elettricità e gas.

La stagnazione salariale non affligge solamente le fasce più vulnerabili del mercato del lavoro. Errode progressivamente anche il benessere del ceto medio e medio-alto, minando la fiducia nel futuro e alimentando disuguaglianze.


Il volume “La questione salariale” di Andrea Garneo e Roberto Mania offre una lucida e approfondita disamina delle cause di questa “questione italiana”.

Gli autori tracciano un percorso che affonda le radici in diverse trasformazioni. Queste hanno segnato l’economia e il mercato del lavoro negli ultimi decenni di salari in Italia.


Uno dei punti cruciali analizzati è la fine della scala mobile. Questo meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’inflazione, abolito nei primi anni Novanta,

Ha certamente contribuito a contenere l’inflazione. Tuttavia, ha anche privato i lavoratori di uno strumento fondamentale per preservare il proprio potere d’acquisto di fronte all’aumento dei prezzi.


Parallelamente, l’Italia ha faticato a tenere il passo con le altre economie avanzate in termini di crescita della produttività. Senza un aumento significativo della produzione per ora lavorata,

Diventa difficile giustificare incrementi salariali sostenibili nel tempo. Le ragioni di questa debolezza produttiva sono molteplici e complesse. Queste spaziando dalla carenza di investimenti in innovazione e tecnologia alla frammentazione del tessuto imprenditoriale, fino alle debolezze strutturali del sistema formativo.


Le trasformazioni nel mercato del lavoro hanno giocato un ruolo non secondario. La crescente flessibilizzazione, pur avendo favorito l’ingresso di nuove figure professionali, ha spesso portato a contratti più precari e con minori tutele. Questo esercita una pressione al ribasso sui salari, soprattutto per le nuove generazioni.

Il fenomeno del “lavoro povero”, purtroppo sempre più diffuso, è una diretta conseguenza di questa dinamica che ha tenuto i salari fermi.


Il ruolo della contrattazione collettiva è un altro aspetto cruciale.

La sua capacità di negoziare aumenti salariali significativi è stata messa alla prova da un contesto economico globale sempre più competitivo. Inoltre, la frammentazione delle rappresentanze sindacali ha complicato il processo negoziale.


Infine, non si possono ignorare gli effetti della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica.

La concorrenza internazionale e l’automazione di processi produttivi hanno esercitato una pressione sui costi del lavoro. Di conseguenza, le imprese tendono a contenere gli aumenti salariali per rimanere competitive.


Di fronte a questo quadro desolante, la domanda sorge spontanea: come se ne esce? Garnero e Mania non si limitano all’analisi, ma propongono anche alcune possibili soluzioni per invertire la rotta.


Un primo passo fondamentale è rilanciare la produttività dei salari. Ciò richiede un impegno concreto in investimenti in ricerca e sviluppo, digitalizzazione, infrastrutture e capitale umano.

Politiche industriali mirate, incentivi all’innovazione e una riforma del sistema educativo e della formazione professionale sono strumenti imprescindibili.


Parallelamente, è necessario rafforzare la contrattazione collettiva. Questa deve diventare più efficace e inclusiva, capace di negoziare aumenti salariali in linea con la crescita della produttività e l’inflazione.

Un rinnovato dialogo sociale tra sindacati, imprese e governo è essenziale per definire strategie condivise.


Un altro aspetto cruciale riguarda il mercato del lavoro. È necessario contrastare la precarietà e promuovere contratti di lavoro più stabili e con maggiori tutele. Questo garantisce al contempo salari dignitosi che permettano ai lavoratori di vivere adeguatamente del proprio lavoro.

In questo contesto, il dibattito sul salario minimo legale può rappresentare uno strumento per fissare una soglia di dignità retributiva.


Infine, è fondamentale affrontare le sfide poste dalla globalizzazione e dalla rivoluzione tecnologica. Servono politiche attive del lavoro che favoriscano la riqualificazione dei lavoratori e l’adattamento alle nuove competenze richieste dal mercato.


La stagnazione salariale in Italia non è una fatalità. È il risultato di scelte politiche ed economiche che hanno portato a un’anomalia nel panorama delle economie avanzate.

“La questione salariale” ci ricorda l’urgenza di affrontare questo problema con una visione strategica e interventi concreti. Ciò è necessario per evitare che la mancanza di crescita dei salari diventi una condanna definitiva per il futuro economico e sociale del Paese.

Solo attraverso un impegno collettivo e una rinnovata attenzione al valore del lavoro sarà possibile invertire la tendenza. Questo garantisce un futuro più prospero per tutti i lavoratori italiani.

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