Il mercato del lavoro italiano continua a mostrare un allarmante gender gap, con un divario occupazionale tra uomini e donne che raggiunge il 19,4%, quasi il doppio della media registrata nell’Unione Europea.
Nonostante un lieve miglioramento del tasso di occupazione femminile, salito dal 55% del 2022 al 56,4% del 2024, la vita lavorativa delle donne nel nostro Paese è ancora “discontinua e frammentata”, come evidenziato dalla nuova ricerca dell’Osservatorio Elle Active!, condotta dal gruppo Hearst in collaborazione con il Centro di ricerca sul lavoro (Crilda) dell’Università Cattolica di Milano.
I dati presentati al forum di Elle Italia tracciano una carriera femminile che, pur partendo con differenze minime tra i 20 e i 30 anni, subisce una brusca battuta d’arresto intorno ai 35 anni. A questa età, un uomo lavora nel 95% dei casi, mentre per una donna la probabilità di essere occupata crolla al 50%, con un significativo 40% di inattività e un 10% di disoccupazione.
Il professor Claudio Lucifera, coordinatore della ricerca, ha identificato nella nascita del primo figlio il “momento cruciale” di cambiamento.
Un dato drammatico sottolinea la gravità della situazione: nel 2025, una madre su cinque ha abbandonato permanentemente il proprio impiego dopo la nascita del figlio. Questa fase segna l’inizio di divari crescenti in termini di anzianità di servizio e contributi previdenziali, una lacuna che le donne difficilmente riescono a recuperare.
Una delle cause principali di questa discontinuità risiede nell’iniqua distribuzione del lavoro domestico e di cura. I dati Istat confermano come questo carico gravi in modo schiacciante sulle donne, che vi dedicano in media 4 ore e 37 minuti al giorno, contro appena 1 ora e 48 minuti impiegati dagli uomini. Questa disparità incide direttamente sulla disponibilità oraria e sulla possibilità di accedere a impieghi full-time.
L’Italia, infatti, registra una quota di part-time femminile (31,5%) superiore alla media europea (28%), con un divario di circa 23 punti percentuali rispetto al part-time maschile (8%).
Non solo meno opportunità e più precarietà, ma anche una forte segregazione occupazionale di genere. La ricerca evidenzia che l’Italia presenta una delle segregazioni più alte d’Europa: circa la metà dell’occupazione femminile si concentra in sole 21 professioni, a fronte delle 53 principali che assorbono l’occupazione maschile.
Questa concentrazione in settori spesso meno retribuiti e a minore crescita professionale è un ulteriore freno all’avanzamento di carriera.
Infine, il gender pay gap (divario retributivo di genere), sebbene variabile, non accenna a diminuire.
Anzi, aumenta progressivamente nel corso della vita lavorativa, arrivando a impennarsi verso la fine della carriera, dove il divario supera il 30%, con pesanti ripercussioni sulla pensione. A 65 anni, solo poco più della metà delle donne accede alla pensione, mentre l’altra metà rimane inattiva, un chiaro segnale di carriere spezzate e incomplete.
L’insieme di questi dati mette in luce come l’Italia sia ancora lontana dal garantire una vera parità di opportunità nel mondo del lavoro, richiedendo interventi urgenti e strutturali per sostenere la carriera femminile in ogni fase della vita.



