Dopo “cicciona” e “brutta”, una reporter finisce ancora nel mirino dell’ex Presidente, riaccendendo il dibattito sul rispetto e il ruolo delle donne nell’informazione.
Ancora una volta, un commento offensivo e sessista attribuito a Donald Trump nei confronti di una giornalista domina le prime pagine. Questo sta sollevando indignazione e preoccupazione. L’ultima etichetta, la denigratoria “stupida”, segue una scia di attacchi personali. In passato, hanno colpito reporter donne con aggettivi come “brutta” o “cicciona”, spostando l’attenzione dal dibattito politico. La critica superficiale e maschilista dell’aspetto fisico e dell’intelligenza è centrale.
Questi attacchi non sono semplici gaffe o scivoloni verbali; rappresentano un modus operandi ben definito. Utilizzando l’insulto personale, Trump riesce a squalificare la professionista e la credibilità stessa della domanda o dell’inchiesta.
Ma quando l’uomo che è stato il Presidente degli Stati Uniti—la figura forse più potente e influente al mondo—sceglie di usare un linguaggio così degradante, l’impatto supera la singola interazione. Il suo comportamento non solo risuona a livello globale, ma rischia di dare “man forte” ad altri. Anche uomini in posizioni di potere o meno potrebbero sentirsi autorizzati a emulare tale aggressività, in particolare verso le donne.
La radice di questi attacchi affonda in una percezione profondamente obsoleta e distorta del ruolo femminile. Il linguaggio di Trump sembra riecheggiare la convinzione che una donna debba essere costantemente sottoposta a un duplice vaglio. Questo riguarda la sua competenza professionale e, in modo infinitamente più ingiusto, la sua conformità agli standard di bellezza e avvenenza.
La domanda che emerge è cruda: le donne devono essere “belle e avvenenti, oltre ogni età”, per poter essere ascoltate? O peggio, per evitare l’etichetta di “stupida” da parte di “menti maschili”? Questo non è solo un attacco alla parità di genere, ma un attacco all’integrità e alla libertà di tutte le professioniste.
Le giornaliste, in particolare, sono in prima linea. Sono portatrici di domande difficili e di verità scomode. Eppure, esse si ritrovano regolarmente a dover difendere il proprio intelletto o la propria immagine, una battaglia che raramente i colleghi uomini sono costretti a combattere con la stessa intensità.
La Responsabilità dell’Influenza
L’uso di tali termini da parte di una personalità pubblica del calibro di Trump non fa che rafforzare gli stereotipi di genere. Ciò contribuisce a un ambiente lavorativo e sociale in cui la misoginia trova terreno fertile.
È un monito per la società intera: l’influenza del potere non può e non deve essere usata per legittimare il bullismo e il sessismo. La battaglia per il rispetto professionale delle donne passa anche attraverso il rifiuto categorico di questo linguaggio.

