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Scuole occupate a Bologna, tempi di bilancio

A Bologna gradualmente le scuole occupate sono tornate alla routine delle lezioni regolari. Chiuse le porte al grido di protesta...

IN QUESTO ARTICOLO

A Bologna gradualmente le scuole occupate sono tornate alla routine delle lezioni regolari. Chiuse le porte al grido di protesta di alunne e alunni, rimangono aperte non poche questioni alle quali Scuola e Politica (mettiamoci pure le iniziali maiuscole) dovrebbero trovare soluzioni concrete.

La richiesta di attenzione era venuta dagli studenti ben prima di barricarsi dentro le strutture ad approfondire ed esternare le istanze di cambiamento (termine fin troppo abusato e mai davvero preso sul serio dalle istituzioni). La città è stata infatti attraversata da manifestazioni partecipate in cui convergevano giovani provenienti da varie scuole, sotto il comune denominatore dei propri bisogni sociali e didattici, dalla scadenza immediata, ma capaci di guardare in prospettiva.

Cosa chiedono gli studenti?

Gli studenti del Liceo Galvani hanno messo in fila alcuni punti nel Manifesto del Galvani, mostrando idee chiare e fluidità nei ragionamenti, oltre a una scrittura degna della storia e dell’autorevolezza dell’importante istituto che frequentano. Questi punti sono comuni alla domanda proveniente da altre scuole, e mostrano ancora una volta la scollatura che separa una parte del Paese dalla classe dirigente.

La pandemia innanzitutto

Estratto dal documento degli studenti:

Negli ultimi tre anni la nostra società ha dovuto far fronte ad un totale stravolgimento. Questo periodo di emergenza ha messo in luce quanto le istituzioni scolastiche siano stagnanti e incapaci di provvedere ai bisogni e alle necessità essenziali degli studenti, lasciati spesso in balia di azioni governative poco chiare ed inefficaci. Si è venuto così a creare un percorso discontinuo ed estenuante, caratterizzato da sporadici ritorni in presenza, alternati a ricorrenti periodi di lezioni online messe in pratica con notevoli carenze organizzative. Questo ha portato a una parziale o totale inefficacia dell’educazione e dell’istruzione scolastica.

L’impatto psicologico ed emotivo della pandemia sullo studente e sul professore è stato totalmente ignorato dal Ministero dell’Istruzione. A fronte delle problematiche espresse le risposte delle istituzioni hanno continuato a dimostrarsi scarse e inefficienti su scala nazionale.

Sebbene questo tema rappresenti soltanto il principio delle rivendicazioni, ne emergono la centralità e le connessioni con altri temi. Indispensabile in una fase fondamentale della formazione giovanile, la socialità è stata stravolta dalla gestione della pandemia, più che dalla pandemia stessa. L’istruzione senza socialità è un percorso di crescita monco.

Confrontarsi sugli aspetti della quotidianità e sugli effetti che la politica globale esercita sulle questioni locali, serve a spiegarsi il mondo, è un passaggio indispensabile della crescita.

I docenti (loro malgrado) hanno dovuto adeguarsi alle norme e impegnarsi a farle rispettare. Gli alunni hanno letto nei propri insegnanti il profilo del controllore, rigettandolo inevitabilmente. Cos’altro hanno segnalato? L’inadeguatezza (e talvolta forse la mancanza di sensibilità) della scuola nell’accogliere alunni disabili. Il mostro dei PCTO (la cosiddetta alternanza scuola-lavoro), percorsi dove non solo spesso gli alunni non hanno modo di consolidare e praticare le conoscenze, ma che ha insegnato loro la cruda realtà: sui luoghi di lavoro si muore. L’insegnamento dell’educazione civica, inserito nei piani di studio, e la cui organizzazione è lasciata spesso al caso.

Oltre il Galvani, divergenze tra alunni

Le comuni rivendicazioni non hanno trovato ampia convergenza nella decisione di occupare le scuole. In alcuni istituti i rappresentanti degli studenti si sono assestati su altre posizioni, lasciando talvolta intendere all’esterno che lo strumento dell’occupazione fosse stato scelto da una minoranza. Seppure si trattasse della maggioranza, la differenza di vedute coi rappresentanti eletti, obbligherebbe a sedersi e ad aprire un confronto. L’assenza di una sintesi generalizzata finisce sempre per depotenziare le lotte.

Il preside del liceo

Aurelio Alaimo, preside del liceo Galvani aveva accolto l’occupazione con diffidenza. In una lettera pubblicata da Il Resto del Carlino, scriveva:

[…] comunque sia gestita, l’occupazione di una scuola è per definizione un atto di forza, che mette a repentaglio la sicurezza, impone la protesta anche a chi non vorrebbe seguirla e lede i diritti di una parte degli studenti (foss’anche una minoranza; ma è proprio alle minoranze che bisogna garantire i diritti). In genere i più danneggiati dalle interruzioni delle lezioni sono proprio i più deboli […]

Insomma, la distanza è parsa netta, non solo nelle modalità, perché le riflessioni degli studenti e quella del preside (rappresentativa del suo ruolo istituzionale) hanno mostrato impostazioni opposte. La contesa è evidentemente politica.

Strutture danneggiate

Concluse le occupazioni, come spesso accade in queste circostanze, si contano i danni. La libertà di vivere il proprio tempo senza limitazioni, fuori dalle regole subite, sfocia nel mare aperto, saltano le misure. Gli studenti si sono attivati per raccogliere una parte dei soldi necessari a riparare. Danneggiare i servizi pubblici, avvantaggiando i privati, è una prassi che generalmente viene imputata a governi e amministrazioni locali. Servirà ancora tanto impegno affinché gli studenti, facendosi un giorno classe dirigente, si facciano trovare pronti all’appuntamento.

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