Intervista ad Alessandra Micalizzi
Il 9 giugno SAE Institute Milano, accademia per la formazione nei creative media presente da oltre 25 anni a Milano e con altri 29 campus in Europa, ha ospitato la quinta edizione di “Women in Music”, la rassegna di incontri dedicati al tema della parità di genere nell’industria musicale.
Nel corso dell’evento, Alessandra Micalizzi, coordinatrice della ricerca e docente di SAE Institute, ha presentato i risultati della ricerca “Donne Mu-De: donne, musica e denaro” dialogando con importanti esponenti di realtà presenti nell’industria e accademiche del settore, artiste e producer, dando vita a una riflessione costruttiva sulle sfide più urgenti, incluso il gap salariale. Ne è emerso che purtroppo noi donne facciamo sempre più fatica a realizzarci in questo ambito. Ce ne parla la docente Alessandra Micalizzi, responsabile del progetto in questa intervista dettagliata.
Come nasce il progetto Women In Music?
Il progetto nasce nel lontano 2020 proprio in periodo pandemico quando tutta l’industria creativa – e in modo particolare quella legata al live e alle proiezioni – soffriva terribilmente. L’altra evidenza che veniva dai dati di quel periodo è che le donne e i più giovani avevano maggiormente pagato lo scotto dell’instabilità. Da li l’idea di usare le mie discipline – sociologia e psicologia – per osservare il divario di genere nell’industria che costituisce il principale ambito di lavoro dei nostri studenti e delle nostre studentesse, ancora numericamente poche.
L’edizione di quest’anno intende approfondire in modo particolare il riconoscimento del valore economico delle donne che operano nella musica, proprio a partire dai risultati di una precedente ricerca in cui le nostre intervistate sottolineavano la difficoltà ad essere riconosciute come competenti e ad essere ritenute interlocutrici anche per la negoziazione del compenso.
Quali sono i principali obiettivi che ci si prefigge con esso?
La ricerca è solo un primo passo di un progetto che vorremmo continuare a portare avanti con focus sempre diversi e lasciando lo spazio all’approfondimento. L’edizione di quest’anno, infatti, ha utilizzato un questionario come strumento di ricerca ma è chiaro che delle interviste in profondità porterebbero maggiori risultati. Il nostro obiettivo era comprendere quale fosse il percepito ed il vissuto delle donne che lavorano nella musica rispetto al valore riconosciuto al loro lavoro: valore economico e valore professionale.
Ci interessava capire quanto aspetti culturali, fattori educativi, tratti psicologici potessero intervenire ed interferire nel modo di costruire il rapporto con il denaro in ambito professionale.
Quali sono secondo lei i principali limiti che nel panorama musicale una donna riscontra rispetto ad un uomo?
Abbiamo avuto occasione di approfondire questo aspetto proprio nelle prime edizioni del nostro studio: le donne vivono profonde ed invisibili barriere sia nella fase di accesso che in quelle successive, di consolidamento della propria professionalità. Purtroppo la situazione oggi non è poi così diversa: anche le intervistate di quest’anno lamentano di sentirsi prese poco sul serio. Una di loro ci ha scritto sul form che per le donne è più difficile perché «Perché non vengo percepita come una professionista, ma come una bambina che gioca con gli attrezzi del papà»
Le donne devono fare il triplo della fatica per potere dimostrare di essere competenti anche quando alle spalle percorsi formativi lunghi e specializzanti. Tra le nostre relatrici, all’incontro che si è tenuto ieri di presentazione dei risultati, ad esempio ha sottolineato come pur essendo una fisica acustica laurea alla normale di Pisa, sollevi sempre tanto stupore la sua competenza a primo acchito, come se i colleghi che lavorano come tecnici del suono non si aspettino tanto spessore e tanta professionalità. Tutto questo semplicemente perché è una donna.
Nell’industria musicale si registra in particolare un grande gap salariale tra donne e uomini. Da cosa dipende secondo lei?
Per il settore della musica il gap salariale si può osservare all’interno delle major, ovvero nel sistema più strutturato. Gli altri ambiti, quello del live per esempio, ma quello artistico in generale potremmo dire, è molto destrutturato, fatto da partite iva dove la trasparenza sul cache non esiste.
Per cui parlare di gender pay gap nella musica è molto più complicato anche se è evidente che un artista uomo ha un valore economico – in termini di giro di affari – superiore a quello di una donna, a parità di posizionamento e di notorietà. Forse possiamo escludere i più noti. Per gli altri il discorso purtroppo si conferma. Cosa lo determina?
Credo dipenda ancora una volta da questo tema sul riconoscimento del valore delle donne: nel report lo abbiamo definito un problema reputazionale e di riconoscimento della competenza. Competenza e reputazione sono due criteri su cui si gioca la partita di valore economico e le donne sono penalizzate. Arrivano dopo, ci mettono di più e devono fare in genere il doppio della fatica.Quanto la pandemia ha influito sule diseguaglianze di genere in ambito musicale?
Anche su questo punto non abbiamo certezze o dati che possano sostenerlo, ma ovviamente in un mercato destrutturato come quello musicale, di fronte all’assenza di tutele, la pandemia ha dato un duro colpo agli emergenti e alle figure che nella musica avevano meno spazio. Per cui è molto verosimile che la variabile di genere abbia pesato in questa “selezione”.
È importante per noi donne fare rete per superare discriminazioni e disuguaglianze in ambito lavorativo? Se sì come?
Lo è sicuramente. Lo dimostrano gli eventi come quello di ieri che si trasformano in occasioni di mentoring, lo dimostrano i risultati che si riesce a raggiungere se si lavora tutte nella stessa direzione. Ci sono già delle realtà come Equaly che cercano di costruire rappresentanza nella musica. Tuttavia, non bisogna trasformare questi reti in forme claustrofobile ed autoreferenziali. Non bisogna isolarsi e come si suol dire “raccontarsela da sole”. Non bisogna creare schieramenti (noi donne, loro uomini) altrimenti la frammentazione indebolisce la forza delle idee e dei valori, come quello della parità, per cui ci si batte.
Insieme, unite e aperte verso il mondo esterno: per cambiare e per cambiarlo.
Lei lavora a stretto contatto con professioniste nel settore musicale. Lei quale personale consiglio darebbe ad esse?
Lo ripeto spesso, l’ho detto anche ieri. La ricetta segreta è quella delle tre S: studiate, sognate, siateci. Siate li per ogni occasione che intendete provare a cogliere e giocare fino alla fine. Non arrendersi senza eccedere in ostinazione. Esserci significa partecipare, conoscere e mettersi nella condizione di cogliere quelle opportunità che il caso ci metterà a disposizione.
Progetti futuri nell’ambito di Women In Music…qualche anticipazione?
Come dicevo, mi piacerebbe andare a fondo con un approfondimento qualitativo intorno a questa riflessione su donne, musica e denaro. E vorrei accostare alla riflessione intorno al denaro una più intima e controversa legata alla maternità. Mi fermo per non anticipare troppo…



