Nell’immaginario comune, il narcisista è colui che ama specchiarsi. Ma la realtà clinica ci dice qualcosa di molto più profondo e inquietante: il narcisista non ha solo bisogno di essere ammirato, ha bisogno che nessuno possa mettere in crisi la narrazione che fa di sé.
Per queste personalità, l’immagine pubblica non è un accessorio estetico, ma una vera e propria armatura psichica. Quando questa protezione viene minacciata dalla verità di una vittima, il narcisista non attiva il dialogo, ma una strategia di annientamento sociale: la delegittimazione.
Quando una vittima inizia a nominare l’abuso o a mostrare ciò che accade dietro le quinte, il narcisista percepisce un pericolo mortale. La sua reazione è un meccanismo automatico e antico: trasformare chi potrebbe rivelare la sua ombra in qualcuno che non verrà creduto.
In questo schema, la vittima subisce una metamorfosi forzata agli occhi degli altri.
Diventa improvvisamente:
“Esagerata” (per sminuire i fatti).
“Instabile” o “Fragile” (per togliere valore alla sua testimonianza).
“Vendicativa” (per attribuirle un movente malevolo).
Il narcisista costruisce una reputazione impeccabile proprio per agire d’anticipo. Sa che il suo castello è fatto di carta e, per evitare che crolli, deve rendere l’altro non credibile. Non è necessariamente cattiveria deliberata; è, tragicamente, una strategia di sopravvivenza psicologica.
Per capire perché il narcisista scredita gli altri, bisogna guardare dentro il suo vuoto identitario. Al centro del narcisismo non c’è l’amor proprio, ma la vergogna.
A differenza del senso di colpa (che riguarda un’azione compiuta: “Ho fatto qualcosa di male”), la vergogna riguarda l’essere (“Io sono sbagliato”). Per il narcisista, la vergogna è un baratro intollerabile. L’attacco alla vittima serve a creare un “contenitore esterno” per questo sentimento: proietta la propria frammentazione sull’altro per non doverla guardare in faccia.
“Se tu mostri la mia ombra, io ti dipingo come ombra.”
Il narcisista spesso non mente in modo consapevole; egli dissocia. Scinde il suo Sé in due parti:
Il Sé Grandioso: Competente, etico, ammirevole (l’immagine pubblica).
Il Sé Fragile: Impotente e svergognato (la parte rimossa)
Quando la vittima parla, riattiva involontariamente la parte dissociata. Per difendersi da questo “ritorno del rimosso”, il narcisista deve strapparsi di dosso la responsabilità e trasferirla all’esterno. La sua narrazione diventa un modo per mantenere una coerenza interna che, altrimenti, esploderebbe in mille frantumi.
La dinamica è ciclica: se il narcisista non può controllarti, cercherà di controllare il modo in cui gli altri ti vedono. La vittima resta così doppiamente ferita: prima nel segreto della relazione, poi nella piazza pubblica della narrazione.
Tuttavia, la verità clinica offre una prospettiva di potere: chi ha un disperato bisogno di screditare l’altro non è forte, è in frantumi. Ogni volta che una vittima ritrova la propria voce e smette di accettare la definizione che il narcisista dà di lei, quel castello di specchi inizia a oscillare.
Non esiste maschera abbastanza solida da resistere a una verità detta con fermezza. Il discredito non è una prova della vostra colpa, ma la prova definitiva dell’impossibilità del narcisista di sostenere il peso del proprio vero Sé.
