Esiste una forza magnetica, quasi biologica, che ogni anno disinnesca le nostre resistenze e ci spinge verso un unico centro gravitazionale.
Il Natale, prima ancora di essere una ricorrenza religiosa o una risorsa commerciale ineludibile è il più potente rito antropologico globale della nostra era.
È l’istante in cui il tempo lineare della produttività si ferma per lasciare spazio al tempo circolare del mito e della riunione.
Per il mondo cattolico, la festa è un presidio di resistenza. Si vive tra mille difficoltà, tra le crepe di una fede che deve fare i conti con la modernità, ma resta il rito che affratella, l’ancora di salvezza che dà senso al dolore attraverso la simbologia della nascita.
Tuttavia, il vero miracolo sociologico del Natale risiede nel modo in cui “conquista” i laici. Anche chi guarda alla festa con scetticismo, chi ne soffre l’obbligo o ne critica il consumismo, finisce quasi sempre per cedere.
È un’adesione che non passa per il dogma, ma per il sangue e la memoria: ci si lamenta del viaggio, del traffico e dei pranzi interminabili, eppure si va. Si partecipa perché il Natale è la grammatica comune di una comunità che ha bisogno di riconoscersi intorno a un fuoco, reale o simbolico che sia.
Nelle dinamiche familiari, spesso segnate da rapporti spigolosi o da quelle piccole patologie quotidiane che rendono la convivenza difficile, il Natale agisce come un catalizzatore di bellezza. Vince il rosso, vince l’oro, vince l’estetica rassicurante dell’orsacchiotto. Non è superficialità; è la vittoria del simbolo sulla realtà. In quei giorni, l’architettura della festa prevale sulle incomprensioni dell’anno intero. È una tregua necessaria, un velo di decoro che permette alla comunità di rigenerarsi.
Preserviamo il diritto allo stupore.
Ma il Natale non è sempre una cartolina scintillante. Per molti è il tempo dell’abbandono, della mancanza di risorse, di un lutto che proprio nel silenzio della festa urla più forte. Eppure, anche nel dolore, il rito tiene. Perché, in ultima analisi, il Natale è dei bambini.
È a loro che appartiene il diritto allo stupore, ed è attraverso i loro occhi che gli adulti ritrovano la forza di nascondere le proprie ferite. Anche quando non si ha voglia, anche quando le tasche sono vuote, si tenta l’impossibile per salvaguardare la loro magia. Il Natale vince perché è l’unico momento in cui l’umanità decide, collettivamente, che la speranza debba avere l’ultima parola.
