Il racconto intimo dell’attore tra guerra, Natale, cinema e un amore lungo una vita
Lino Banfi si è raccontato senza filtri a Ciao Maschio, ospite di Nunzia De Girolamo, nella puntata andata in onda oggi, sabato 27 dicembre, alle 17.05 su Rai 1.
Un’intervista intensa, a tratti ironica e a tratti spiazzante, in cui l’attore ripercorre la sua vita con la lucidità di chi ha attraversato quasi un secolo di storia senza perdere umanità.
L’infanzia, la guerra e quel pupazzo che faceva ridere
Banfi torna bambino, a Canosa di Puglia, negli anni dei bombardamenti. «Avevo sette, otto anni. C’erano le sirene, si scappava nei rifugi. Mio nonno mi diceva sempre: “Pasquale, ricordati di portare il pupazzo”».
Quel pupazzo diventava un’arma contro la paura: «Lo facevo parlare, facevo ridere gli altri bambini. Mio nonno diceva che così li facevo stare zitti. Io ho sempre fatto ridere, fin da allora».
Poi, a quasi novant’anni, la domanda che lascia il segno:
«Io ho fatto ridere tutti. Ma a me, chi mi ha fatto ridere?».
Quel Natale a Napoli e l’incontro con “Ciro”
Il Natale più importante della sua vita arriva a 18 anni, a Napoli, in un momento di estrema povertà. «Volevo fare l’attore, ma lavoravo pochissimo. Era Natale, non avevo neanche i soldi per una pensione. Non sapevo dove dormire».
Alla stazione, l’incontro che gli cambia la vita: un uomo lo guarda e gli chiede se ha una casa. Alla risposta negativa, torna indietro e gli dice: «Vieni a casa».
Una casa povera, piena di bambini, ma carica di umanità. «Mi fecero mangiare, bere, mi fecero sentire uno di famiglia. Io ho sempre pensato che quell’uomo, Ciro, fosse un santo».
Anni dopo, ormai famoso, Banfi proverà a rintracciarlo per ringraziarlo. Ma scoprirà qualcosa di sorprendente: «Mi dissero che Ciro non era mai esistito».
Un cardinale, suo amico, gli darà una spiegazione che ancora oggi lo emoziona: «Lino, Ciro non esiste. Era un angelo che ti ha voluto salvare».
Cinema, ironia e “trasgressioni” mai oltre il limite
Il racconto si sposta sul lavoro e sul cinema che ha segnato un’epoca. Alla domanda sulla trasgressione, Banfi risponde con la sua ironia disarmante:
«Sono successe tante cose, ma sempre con il garbo e con la furbizia. Se avessi fatto il folle, qualcuno mi avrebbe detto: “Ma che sei scemo?”».
Ricorda un episodio sul set accanto a Edwige Fenech: «Il regista mi diceva di stringerla di più per il ciak. Io lo feci con una tenerezza tale che lei mi disse: “Ma amore, stiamo girando, è normale”».
E sorride: «Quella è stata la mia trasgressione».
L’amore per Lucia: «Alla fine pensavo sempre a lei»
Poi arriva la confessione più intima, mai fatta prima in pubblico. «Non sono stato un santo», ammette Banfi. «Ma se anche solo pensavo a qualche trasgressione, per arrivare fino in fondo dovevo pensare all’intimità che avevo con mia moglie Lucia».
Una riflessione che diventa una dichiarazione d’amore semplice e potentissima:
«La mia furbizia è stata questa: ma a me chi me lo fa fare tutti questi giri, se poi alla fine devo pensare a te?».
La chiusura è una frase che vale più di mille lezioni morali:
«Tanto vale farlo male insieme, ma farlo noi».
Un racconto senza santificazioni e senza maschere. Solo verità, memoria e amore.
