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Siria: intreccio di conflitti

A pochi giorni dall’inizio dell’attacco russo all’Ucraina, sulla stampa araba e internazionale emerge qua e là l’idea che la Siria...

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A pochi giorni dall’inizio dell’attacco russo all’Ucraina, sulla stampa araba e internazionale emerge qua e là l’idea che la Siria possa esserne l’antecedente, il laboratorio o lo specchio: non solo per la compresenza, finora pacifica, di soldati russi e statunitensi, ma anche e soprattutto per le possibili implicazioni dello scontro tra Mosca e Washington nel complesso intrigo di interessi che convergono nella guerra siriana

Specchio delle brame altrui

Il 20 febbraio, il quotidiano al-Arabi al-Jadid ha riportato che la Siria potrebbe diventare il prossimo teatro di uno scontro per procura tra Stati Uniti e Russia, che da settimane inviavano rinforzi nella regione nord-orientale del paese. Washington per incrementare il suo impegno nella guerra, condotta con le Forze democratiche siriane (Fds) contro i cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico. Mosca, invece, per consolidare le proprie relazioni con il presidente siriano Bashar al-Asad e per tentare di tessere un’alleanza con i curdi, al fine di controllare le regioni petrolifere orientali. Intanto, mentre la Turchia è sul punto di impugnare la Convenzione di Montreux per impedire il passaggio delle navi da guerra attraverso gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, al-Asad ha subito riconosciuto l’indipendenza delle due repubbliche separatiste del Donbass e, successivamente, ha definito l’attacco russo all’Ucraina una «correzione della storia e la restaurazione dell’ordine globale dopo la caduta dell’Unione sovietica». In particolare, secondo Damasco, la Russia ha il diritto di fronteggiare l’espansionismo dell’Organizzazione del trattato dell’Atlantico Nord (Nato) e i paesi occidentali sono responsabili del caos, perché sostengono con metodi deplorevoli i terroristi in Siria e i nazisti in Ucraina. Inoltre, il quotidiano siriano Daraa24 ha riportato che Mosca intenderebbe reclutare mercenari in Siria, tra le fila del Quarto e del Quinto corpo, ma anche delle forze Suheil al-Hasan, per inviarli in Ucraina, trasportandoli prima a Rostov dalla base aerea siriana di Hmeimim. Una dinamica simile si era registrata quando la Russia aveva mercenari siriani in Libia, o quando la Turchia aveva sostenuto, facendovi leva per acquisire peso geopolitico gruppi e fazioni locali, come aveva fatto nei Balcani negli anni ‘90 del secolo scorso, e, ultimamente, in Libia e nel Nagorno Karabakh.

Simpatie ucraine delle Forze democratiche

Se Damasco utilizza l’argomento della legittimità della posizione della Russia, che difende la sua sicurezza nazionale e i suoi interessi, per rimproverare all’Occidente di aver imposto sanzioni unilaterali alla Siria come ora sta facendo con Mosca, le Fds (alleanza multietnica e multiconfessionale che controlla, con il sostegno statunitense, oltre il 25% del territorio) hanno manifestato la propria simpatia per il popolo ucraino, anche realizzando pitture murali sugli edifici distrutti da Damasco con il sostegno russo. Anche se le rivendicazioni di maggiore autonomia da parte dei curdi siriani potrebbero suscitare, piuttosto, simpatia per le due repubbliche separatiste del Donbass, le Fds, concentrate in gran parte nelle province di Aleppo e Idlib, rimproverano alla Russia di aver imposto un cessate il fuoco di concerto con Iran e Turchia e accusano l’Occidente di aver promesso severe sanzioni contro al-Asad, senza poi mantenere l’impegno. Prevale, nondimeno, l’esortazione agli ucraini a resistere e a non fare come i siriani, che aspettano ancora l’aiuto delle Nazioni unite, mentre sono stati abbandonati ai crimini dell’esercito russo. Il riferimento russo-statunitense-ucraino serve dunque a Damasco per condannare le sanzioni, e alle Fds per biasimare gli Stati uniti e le potenze europee per aver venduto i loro alleati, che li avevano sostenuti nella guerra contro i cartelli del jihad del cosiddetto Stato islamico, in nome dei propri interessi strategici.

Russia-Israele: coordinazione fredda

Frattanto, Israele, la cui condanna dell’attacco russo all’ucraina è stata tardiva e timida, soprattutto se confrontata con le parole usate da altri alleati di Washington, si tiene in equilibrio tra due paesi, Russia e Ucraina, ai quali è ugualmente legata sia per ragioni storico-culturali, sia per convenienza geopolitica. In particolare, Tel Aviv beneficia del benestare russo ai raid della sua aviazione, piuttosto frequenti ultimamente, contro postazioni sospettate di ospitare gruppi filoiraniani. Quindi, la coordinazione con Mosca è fondamentale, in quanto è quest’ultima a controllare lo spazio aereo siriano, secondo quanto stabilito dagli ultimi accordi per il cessate il fuoco. Inoltre, Israele sa che la Russia potrebbe rinfacciarle, in risposta alla condanna dell’intervento militare in Ucraina, le incursioni in Siria o il comportamento in Palestina. Infatti, il 23 febbraio, dopo la presa di posizione israeliana sulla questione ucraina, l’inviato russo alle Nazioni unite ha espresso preoccupazione per l’occupazione israeliana delle alture del Golan e per l’annuncio di Tel Aviv di un piano per espandere la colonizzazione in quella regione, sottolineando, di contro, che questa è parte integrante della Siria. Come la Turchia, dunque, anche Israele teme che la guerra combattuta in Ucraina possa sovvertire gli equilibri siriani (malgrado le rassicurazioni dell’ambasciata russa) e, di conseguenza, regionali, soprattutto quelli con l’Iran. In questo senso, non sono un buon segnale le proteste del 28 febbraio di decine di contadini-allevatori, contro lo smantellamento delle loro proprietà deciso da Israele per impiantarvi le turbine eoliche. Vice versa, Mosca intende evitare che un suo impegno eccessivo sul fronte ucraino possa aprire un varco ad Ankara in Siria, compromettendo il suo sbocco al Mediterraneo orientale, grazie alla base navale di Tartous, dalla quale, agli inizi di febbraio, aveva condotto esercitazioni militari per addestrare l’esercito di Damasco.

Storie da guerra fredda? No, razzismo strisciante

In un video pubblicato il 28 febbraio dal sito di informazione Middle East Eye, si sentono espressioni di sorpresa e di disappunto usate da giornalisti come Charlie D’Agata, inviato della Columbia Broadcasting System (Cbs) a Kiev, riguardo il conflitto in Ucraina, che non si svolge in regioni, come il Medio Oriente e l’Africa, dove la guerra imperversa da decenni, ma in un luogo relativamente civilizzato, relativamente europeo. Simile il commento alla British Broadcasting Corporation (Bbc) dell’ex viceprocuratore capo della Georgia, David Sakvarelidze, che ha definito commovente la quotidiana uccisione di persone con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Più esplicito, invece, il commento di Peter Dobbie, presentatore di al-Jazeera, che ha descritto i profughi ucraini in fuga come gente benestante, di classe media, a differenza dei rifugiati che cercano di scappare dal Medio Oriente o dal Maghreb: insomma, sembrano come una qualsiasi altra famiglia europea che vorresti avere come vicina di casa. L’emittente qatariota si è poi scusata, annunciando provvedimenti disciplinari ai danni del presentatore. Nondimeno, espressioni come questa tradiscono il perdurare di una mentalità colonialista, essenzialmente razzista, in base alla quale conviene etichettare le popolazioni che vivono in regioni strategiche (per il controllo del territorio e per la ricchezza del loro sottosuolo) come non civilizzate, dunque inferiori, per legittimare una qualche mira o velleità geopolitica sui territori che occupano e sulle loro risorse. Così, alle simpatie espresse per la resistenza ucraina, i media arabi, oltre a qualche commentatore occidentale, hanno risposto domandando perché non sia accolta con lo stesso favore una simile resistenza in Siria o in Palestina.

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