Al di là del femminismo
In tutte le città italiane, insieme alle mimose e alle matrioske di Non Una di Meno, hanno sventolato le bandiere arcobaleno contro la guerra in Ucraina. E’ in corso un esodo di massa di donne che cercano di salvarsi la vita al confine dell’Ucraina, nascondendo i figli nei seminterrati degli ospedali o correndo mentre li tengono in braccio, mentre agli uomini è vietato scappare, per l’obbligo di arruolarsi. Secondo le Nazioni Unite, le donne sono le persone più a rischio di subire violenze legate al conflitto, non è una novità e oggi non si può non parlare di loro. Le violenze sulle donne sono all’ordine del giorno durante ogni guerra, e quest’anno, secondo il Manifesto, l’International rescue committee (IRC) ha stimato che 80mila donne partoriranno senza assistenza medica, dato che gli ospedali sono soggetti ai bombardamenti russi; in ogni caso la fuga con bambini piccoli è molto più complessa e si rivela per alcune donne impossibile, delineando un profilo allarmante di difficile soluzione.
Sciopero nazionale
Lo sciopero generale transfemminista sarà come ogni anno organizzato da Non Una di Meno, con l’adesione di diverse sigle sindacali, anche se non tutte: Usb, Cub, Cobas, Slai-Cobas, Adl Cobas, Sgb, Si Cobas e Usi. Si dichiara il “no” alla guerra e la lotta contro il patriarcato in tutte le sue forme, dalle prevaricazioni in campo lavorativo a quelle domestiche e sanitarie. Una anticipazione delle proteste era già avvenuta nei giorni scorsi con gli striscioni dei collettivi femministi di Roma contro i manifesti Pro Vita che con giganteschi feti in evidenza su vari muri della città hanno provato come al solito ad attaccare la legge 194 e sono stati fatti rimuovere dal Comune di Roma. Dichiaravano “Potere alle donne? Facciamole nascere”, mentre le femministe hanno risposto con “Il corpo è mio e decido io” in una diatriba stantia che sembrava essere superata diversi decenni fa e invece ritorna a farsi, noiosamente, sentire. D’altra parte siamo in Italia il Paese che secondo il Global gender gap 2021, un documento che censisce la disparità di genere in 156 Paesi, si colloca ad un vergognoso 63esimo posto, dopo il Perù; l’analisi è condotta negli ambiti di politica, economia, educazione e salute, quindi emerge che la partecipazione economica delle donne e le opportunità di lavoro siano scarse, nonché il supporto alla genitorialità e alla salute con le sue specificità femminili, ancora troppo poco considerate in campo medico-scientifico. Eppure siamo anche nel paese con il più alto numero di settantenni in Europa e il più basso tasso di investimenti in welfare, secondo il report Domina 2021 stilato dall’osservatorio nazionale sul lavoro domestico; ciò significa che l’assistenza agli anziani è pagata privatamente dalle famiglie e chi colma questa mancanza dello stato? Sempre le donne, le badanti che sono quasi il 90 per cento delle persone che lavorano come caregivers e di questo enorme numero il 70 per cento sono donne immigrate (IDOS 2021). Le questioni di genere si spostano, e l’emancipazione delle dinne italiane dai lavori domestici e di cura ricade semplicemente su donne provenienti da Paesi più poveri.
Ancora tanto da fare
Insomma c’è da rimboccarsi le maniche, c’è ancora tanto da fare in fatto di parità e l’8 marzo è un giorno per parlarne, per incontrarsi e accrescere la sorellanza nelle piazze. A Roma alle 17 in piazza della Repubblica, a Milano alle 18 a Piazza Duca d’Aosta e in tutte le altre città d’Italia. Per chi non ha potuto scioperare, a causa di contratti di lavoro precari che non lo consentono, sono stati organizzate dal basso una serie di modalità di contestazione alternativa, indossando accessori fucsia, o cercando di rispondere il meno possibile a telefonate di lavoro, riducendo per quanto consentito l’attività lavorativa anche usufruendo di permessi per poter aderire alle manifestazioni.