In Herzog, Saul Bellow ci presenta Moses Elkanah Herzog, un uomo in crisi, isolato nella sua grande e vecchia casa di campagna, intento a scrivere febbrilmente lettere su lettere, che non invierà mai, a amici, familiari e perfino a illustri personaggi ormai scomparsi.
Attraverso queste lettere, Herzog pone interrogativi incessanti ed esistenziali che riflettono il suo profondo turbamento interiore e un’irrequietezza intellettuale che non trova pace.
Alter ego evidente dello stesso Bellow, Herzog incarna le ansie dell’intellettuale americano del periodo post-Kennedy, spogliato di ogni illusione romantica e immerso in un vortice di contraddizioni. È un uomo umiliato, eppure orgoglioso della sua umiliazione; spezzato, ma in modo curioso ancora fiducioso.
Nonostante il fallimento del suo matrimonio, gli insuccessi professionali e una profonda disorientazione emotiva, Herzog conserva una sorprendente resilienza, aggrappandosi all’atto stesso del domandare come a un’ultima forma di senso.
Con una prosa brillante e una profondità filosofica, Herzog non è solo il ritratto della caduta (e possibile rinascita) di un uomo, ma anche una potente esplorazione dell’identità, dell’intelletto e del bisogno umano di comprensione in un mondo frantumato.
Bellow costruisce un personaggio che, pur smarrito, non è mai completamente sconfitto—forse perché, come molti di noi, sa che le risposte potrebbero non arrivare mai, ma che vale comunque la pena continuare a porsi le domande.