L’AS Roma, l’FC Inter e l’AC Milan ammettono di non aver rispettato le regole del Fair Play Finanziario. Nei comunicati delle rispettive società si legge che l’UEFA può anche chiedere spiegazioni sul mancato rispetto del pareggio. Le motivazioni ovviamente sono insite nel regolamento stesso: va rivisto tutto, altrimenti le società rischiano la bancarotta.
Le società calcistiche non riescono a uscire dalla crisi e l’UEFA non dà alcuna risposta adeguata nell’immediato. La verità è che il fair play finanziario ha fallito completamente e va rivisto tutto da capo a coda. Questo sistema venne introdotto dall’UEFA nel settembre 2009 e mirava proprio a cancellare i debiti contratti dalle società di calcio: il principio era legato al pareggio di bilancio (break even) che permette un auto-sostentamento finanziario nel lungo periodo. Se le squadre spendono quel che hanno nelle casse, senza fondi privati né prestiti in aiuto, il gioco è fatto e nel lungo periodo saranno floride. In teoria. Perché in pratica è avvenuto tutt’altro. E non solo per via della pandemia.
Il fair play finanziario è nato proprio per permettere alle squadre di calcio con meno disponibilità economiche di competere al pari delle più potenti. Ma qualcosa è andato storto. Un tempo i presidenti potevano aggiustare il bilancio attraverso prestiti, fondi privati o andando in negativo. Adesso invece si deve disporre dei bilanci così come sono, usufruendo unicamente delle entrate a disposizione: biglietti venduti, diritti televisivi, giocatori piazzati sul mercato e marketing. Fin qui tutto bene, ma dov’è l’inghippo? Proprio nel marketing: poniamo che un presidente ricco voglia comprare Cristiano Ronaldo, e non possa farlo per motivi di bilancio, il modo più semplice è quello di mettere sulle magliette della sua squadra di calcio il logo della sua azienda e versare la cifra che serve direttamente nelle casse della sua società calcistica. Non sono fondi privati, se ci pensiamo bene, sono entrate da sponsor. Dunque tutto apparentemente regolare, purtroppo però non tutte le squadre hanno dei petrolieri come presidenti. E i bilanci sono sempre più in rosso, soprattutto in questi ultimi anni, durissimi, in cui il lockdown da COVID ha messo il carico da dodici, togliendo alle squadre anche le entrate dei biglietti dagli stadi.
Ci sarebbe un sistema per far recuperare alle squadre debitrici e senza sotterfugi: ed è il modello del draft che viene applicato nella NBA americana. In pratica il mercato viene gestito interamente dalla lega attraverso un meccanismo di estrazione, e con un regolamento che permette alle squadre in difficoltà di poter scegliere i giocatori, in modo tale da creare più bilanciamento da un anno all’altro. L’ordine delle selezioni è basato su un criterio stabilito per favorire chi ha avuto risultati modesti durante l’ultima stagione, dando in tal modo la precedenza alle ultime classificate. Chi arriva ultimo in pratica viene favorito dandogli la possibilità di scegliere un calciatore da una lista che conterrebbe tutti i giocatori degli altri campionati, tutti gli svincolati e tutti quelli che vengono dai campionati universitari. È il sistema migliore per permettere a chi è indietro di poter competere con le grandi e di non finire in bancarotta. Da noi invece chi non ottiene risultati viene ancor più penalizzato. Se riflettiamo bene, in effetti il vero mercato sregolato, a confronto con gli States, stavolta è da noi, nella vecchia Europa. Ma se continuiamo di questo passo, con un fair play finanziario facilmente aggirabile, rischiamo di far finire in bancarotta anche le squadre più blasonate e addio calcio.
Bisogna avere il coraggio di cambiare tutto. Adesso.