Dopo due partecipate settimane, presso il Museo delle Arti e dei Mestieri di Pianoro, si è conclusa Sudaca, la mostra fotografica attraverso la quale l’artista bolognese Emiliano Medardo Barbieri ha raccontato la sua America Latina. Per visitare la mostra abbiamo atteso l’ultimo giorno, sperando che il pubblico fosse in gran parte già transitato. Sudaca è un racconto intimo sebbene passi per territori aperti alle curiosità dell’uomo, territori faticosi da percorrere perchè la natura può insinuare incognite e imprevisti nella scalata del più acceso ricercatore. La scoperta ci ha coinvolto. Di fronte a ogni scatto abbiamo cercato il rapporto che il fotografo ha vissuto con i luoghi poiché le condizioni sociali delle popolazioni autoctone e gli spazi aperti, i villaggi abitati, sono entrati in relazione con lo spirito dell’interlocutore, e provare a comprendere questa relazione ha contribuito (contribuirà) a cogliere, a sentire il significato delle immagini, la vita che serbano.
Le immagini raccolgono un viaggio cominciato nel settembre 2018 e durato circa due anni. Per bagaglio l’essenziale, condizione indispensabile per chiunque si accinga a percorrere a piedi un’ampia porzione di continente. Con la reflex irrinunciabile Barbieri ha affrontato distanze impegnative, ha interagito con le abitudini di una terra ammaliante e magica (come tanta letteratura insegna), toccando condizioni di vita ricche di umanità anche nella miseria materiale, attraversando paesaggi pregni di inestinguibile bellezza.
In attesa che Sudaca riprenda il proprio itinerario nelle città italiane, Barbieri sta scrivendo un libro dove troveranno spazio i fatti e le persone del viaggio fisico ed emozionale che le immagini ci hanno già presentato. Dunque un lavoro diverso da Uccelli (dove le immagini di Barbieri hanno accompagnato le poesie di Ata Khasaf) e Not Bad (foto ancora di Barbieri e testi della poetessa Claudia Gironi).
Sebbene la vena personale sia evidente nell’opera dell’artista, i suoi riferimenti, da Alex Webb a Sebastiao Salgado, ci suggeriscono che genere di fotografo sia.
Costa Caraibica, Colombia
“…andare per mare costa 500 euro a persona, si viaggia di notte sulle barche dei trafficanti. Non è difficile vedere barchette nascoste in piccole baie che raccolgono persone durante le ore del tramonto…”
Da Capurganà i migranti tentavano il salto verso gli Stati Uniti, viaggiando di notte sulle barche dei trafficanti, unica alternativa affrontare la giungla sperando di trovare la strada per Panama.
La niña de la selva, Santa Cruz del Valle Ameno, Bolivia
“…si mangia quel che si coltiva, nel villaggio si barattano le piccole cose che mancano, quando si finisce di lavorare ci si butta tutti nel fiume…”
Sudevi è la più grande di tre fratelli. Con i genitori vivono in un villaggio a due ore di strada sterrata dal primo centro urbano. Lì, carburante e medicine, le minime garanzie.
La Paz si raggiunge con venti ore d’autobus, la strada “striscia lungo verdi montagne costeggiando precipizi profondi, dai quali spesso e volentieri prendono il volo alcuni dei mezzi che cercano di affrontarla con troppa e malaugurata fretta nei motori”.
Parque Nacional Lanìn, Patagonia, Argentina
“…ho montato la mia tenda in paradiso, ho fatto il bagno tutto nudo e mi sono seduto a far passare il tempo, ascoltando il rumore delle piccole onde del lago prima e delle migliaia di rane poi ho messo su a bassa voce un album dei Pink Floyd, mentre il sole lasciava lentamente il posto alle amiche stelle e mi sono innamorato un’altra volta di questo pianeta. Poi ho pianto, come solo la Patagonia sa farmi piangere.”
Lago Llanquihue, Patagonia, Cile
“…era l’epilogo del viaggio. La felicità di tornare a casa era molto grande, ma sapevo in cuor mio che quel capitolo non era chiuso, che ci saremmo rivisti…”
“Quando partii era ormai luglio: in Italia le cose andavano meglio, c’era l’estate e il caldo. In Patagonia invece era pieno inverno, le giornate erano grigie e piovose, e ormai passavo il grosso del tempo attaccato alla stufa, l’unico angolo caldo della casa dove mi ero spostato da qualche settimana.”
Santo Domingo de los Tsachilás, Ecuador
“…la maggioranza di loro non aveva acqua corrente a casa, poteva quindi lavarsi solo a scuola. Alcuni non avevano genitori o a essi non importava minimamente di loro…”
“Nella periferia della città, ai bordi di una favela chiamata Cristo Vive, ci prendevamo cura di un centinaio di bambini e ragazzi che non potevano permettersi di andare in una scuola pubblica, o dalla quale erano stati rifiutati o cacciati. L’aria frizzante colma di sorrisi e risate nascondeva con grande fatica il grande numero di pesanti problematiche che questi bambini vivevano quotidianamente.”