Saluto oggi i miei studenti perché forse domani non sarò in classe. Fino a ieri si diceva che i contratti covid sarebbero stati rinnovati fino al termine delle lezioni. Oggi, che scade il contratto, viene fuori che non ci sono abbastanza soldi.
MA I CONTI AL MIUR LI SANNO FARE?
Questo si chiedeva, in un tweet del 31 marzo, Valentina Chindamo, docente di economia aziendale e collaboratrice di LiberiOltre. In un precedente tweet la docente aveva pubblicato la risposta di NoiPA ad una sua domanda relativa al mancato pagamento dello stipendio da gennaio ad oggi: “l’insufficiente stanziamento di fondi da parte del MIUR impedisce a NoiPA di pagare”.
Il giorno precedente era stata la Flc CGIL a lanciare l’allarme sull’insufficienza di fondi per pagare tutti gli stipendi; nella serata del 31 marzo, tuttavia era arrivata la replica del Ministero, che assicurava che i fondi ci sono, e bastano a coprire tutti i contratti.
Nulla di nuovo – verrebbe da dire – per i supplenti con incarichi non annuali; il ritardo nei pagamenti di questi insegnanti è una piaga che si ripresenta, con puntualità svizzera, ogni anno, almeno dal 2013. Nonostante proteste, scioperi e continue sollecitazioni da parte dei sindacati.
Il ritorno dei prof. non vaccinati
Quest’anno, tuttavia, a rendere ancora più tragicomica la situazione ci si è messa l’emergenza COVID-19, o – più precisamente – la gestione dei docenti non vaccinati, circa 3800 in tutta Italia. Costoro erano stati temporaneamente sospesi dall’insegnamento in conseguenza delle norme sul Green Pass rafforzato, ma dal 1 aprile – data di scadenza delle restrizioni – sono potuti rientrare al lavoro, con tanto di reintegro completo dello stipendio.
Ma attenzione: non per insegnare ai ragazzi, ma per mansioni di altro genere. Quali? Lo ha precisato una circolare del MIUR uscita a poche ore dal rientro:
per il servizio di biblioteca e documentazione, l’organizzazione di laboratori, il supporto nell’utilizzo degli audiovisivi e delle nuove tecnologie informatiche, le attività relative al funzionamento degli organi collegiali, dei servizi amministrativi e ogni altra attività deliberata nell’ambito del progetto d’istituto.
Insomma: insegnanti pagati per non insegnare, e che comunque non si sentono affatto contenti della situazione. Sul banco degli imputati l’obbligo di lavorare per 36 ore settimanali, in luogo delle 18 previste normalmente dal contratto per docenti (e contro le quali paradossalmente protesta una parte sempre più grande degli insegnanti, che preferirebbe formalizzare un normale “orario di ufficio” da 36 ore alla settimana, piuttosto che vedersi riconosciute solo 18 ore di lavoro ufficiale, ignorando l’abnorme mole di lavoro domiciliare sommerso e non retribuito).
“Abbiamo copiato tutto coi cellulari”. Parola di candidato.
C’è infine un’altra grana che sta tenendo banco nel mondo della scuola, e riguarda le prove scritte del concorso ordinario per l’abilitazione alla docenza, iniziato lo scorso 14 marzo e destinato a concludersi il prossimo 14 aprile. E il cui esito si sta rivelando esattamente quello che avevamo anticipato su questo sito: un boom di bocciati, con solo il 10% dei candidati ammessi alla prova orale.
E se fino a qualche giorno fa le critiche alla modalità di concorso riguardavano più che altro questioni “di fondo” (nozionismo, inadeguatezza di un quiz a valutare soprattutto certe materie – come quelle umanistiche), negli ultimi giorni è emerso un problema assai più sostanziale, che potrebbe teoricamente aprire scenari anche di tipo giudiziario: alcuni candidati hanno ammesso di aver barato, cercando le risposte alle domande sul cellulare. Con tanto di accortezza di sbagliare volontariamente un bel po’ di domande, per non destare sospetti. Come riporta il quotidiano Il Mattino, a conferma di queste confessioni esisterebbero anche “foto delle schermate durante l’esecuzione della prova”.
In mezzo a tutto ciò, neanche a dirlo, ci sono gli studenti. Nominalmente centro delle preoccupazioni di ogni Ministro della Pubblica Istruzione della storia di questo Paese, ma eterne vittime di una disorganizzazione senza uguali nel mondo occidentale.