Sono iniziati da pochi giorni ma già fanno discutere. Si tratta del concorso ordinario per docenti precari, bandito nel 2020 ma iniziato solo lo scorso 14 marzo, dopo svariati rinvii dovuti all’emergenza COVID-19. Un concorso le cui modalità sono state di recente modificate: se nel bando originale erano previste una prova preselettiva, due prove scritte ed una orale, con la riforma Brunetta si è passati ad una sola prova scritta (da svolgere al computer e consistente in 50 quesiti) e – in caso di superamento di quest’ultima – una orale.
Un cambiamento che ha senz’altro avuto il merito di snellire e velocizzare drasticamente le procedure, ma che ha suscitato molti malumori e perplessità tra i docenti, sia per questioni di metodo che di merito.
Sul piano del metodo, in molti hanno lamentato lo scarso preavviso con cui il MIUR ha annunciato le date delle prove: per molte classi di concorso c’è a disposizione circa un mese di tempo per prepararsi. Decisamente poco, considerata da un lato la vastità dei programmi e, dall’altro, il fatto che siamo in pieno anno scolastico, con i docenti impegnati a gestire la normale routine quotidiana.
Ruota della fortuna
Ma le recriminazioni maggiori riguardano il merito, ossia la modalità stessa della prova scritta: nozionismo puro, come denunciano molte lettere inviate a siti specializzati . Il programma concorsuale di storia, per fare un esempio, spazia dalla preistoria fino ai giorni nostri, e si riduce a domande relative a date, trattati, concordati, nomi e cognomi di personaggi anche decisamente secondari, che raramente s’incontrano nei manuali destinati agli allievi. Per non parlare di materie ancor più “astratte” e concettuali (ad esempio la filosofia), difficilmente valutabili con quiz a risposta multipla.
Tra le classi di concorso per le quali si è già svolta la prova scritta c’è la AB24, inglese nelle scuole secondarie di secondo grado: alcuni commenti (delusi) dei partecipanti si possono trovare su Orizzonte Scuola. Particolarmente significative le considerazioni di uno dei candidati:
Ho trovato solo citazioni da indovinare come fossimo personaggi fittizi di un film (la letteratura non la sa chi sa citare a memoria, ma chi ne sa capire il significato, chi la sa interpretare (…)
80% di bocciati in STEM
Ma il problema non riguarda solo le materie umanistiche. A luglio 2021 aveva fatto scalpore il risultato del concorso sulle materie tecnico-scientifiche (STEM), che aveva visto la bocciatura dell’80% dei candidati; in Liguria, nella classe di concorso A026 (matematica), su 168 candidati avevano superato la prova in 23. Anche in questo caso, le recriminazioni erano le stesse: scarso preavviso (15 giorni), programmi ridicolmente vasti e nozionistici. E c’è stato chi – come il segretario della Uil Scuola Puglia, Gianni Verga – si è chiesto se dietro questa modalità di gestione dei concorsi non ci sia una precisa volontà di da parte del Ministero di rimanere con un esercito di precari, “a esclusivo beneficio delle casse statali”.
Un problema annoso
A prescindere dal caso specifico, comunque, quello del reclutamento dei docenti rimane una delle principali piaghe della scuola italiana, che vede in campo due fazioni: da un lato i sindacati e partiti di orientamento più o meno statalista chiedono la stabilizzazione automatica e su base di anzianità per i docenti, in nome dell’esperienza maturata sul campo; dall’altro c’è la schiera di chi vede nei concorsi – compresi quelli svolti con le modalità descritte sopra – il baluardo della meritocrazia, un modo per svecchiare il personale docente dando la precedenza a docenti giovani e tecnologici. Una “guerra” inaspritasi nel corso degli anni, visto che i vari governi hanno continuamente cambiato le modalità di abilitazione all’insegnamento (dalla SSIS al TFA), creando miriadi di sotto-categorie di insegnanti, ognuna convinta di avere il diritto di precedenza sulle altre.
In mezzo a tutto questo, manco a dirlo, ci sono gli studenti, ormai rassegnati all’idea di poter aspettare settimane, se non mesi, prima di avere tutti i docenti in cattedra (nonché a cambiarne anche tre o quattro, nell’arco di un anno, per una singola materia). Con ovvie conseguenze (impietosamente mostrate dai risultati dei test INVALSI) sulla qualità della didattica.