La procura e la Consob rinunciano al ricorso. I giudici ‘ex direttore capro espiatorio’, ‘grave decisione non avere accolto le testimonianze, scagionavano il direttore’
Roberto Napoletano, l’ex direttore del Sole 24 Ore ora alla guida del Quotidiano del Sud, imputato per aggiotaggio e false comunicazioni sociali nell’inchiesta sui conti del gruppo editoriale nel periodo in cui era ai vertici, è stato assolto in via definitiva ‘per non aver commesso il fatto’. La sentenza, infatti, è passata in giudicato dopo che alla scadenza dei termini non è stata presentato alcun ricorso. La mancata impugnazione, scelta anomala della procura generale di Milano e della parte civile Consob, chiude così una vicenda giudiziaria lunga quasi 7 anni, in cui il giornalista, difeso dagli avvocati Guido Alleva ed Edda Gandossi, non ha mai voluto patteggiare, ma ha sempre fermamente sostenuto la sua innocenza, rivendicando di aver “sempre e soltanto esercitato il proprio ruolo di direttore editoriale del Sole 24 Ore in modo appassionato e sempre rigoroso” potendo così dimostrare “di aver salvato un giornale sull’orlo del baratro”.
Nelle motivazioni, scritte dai giudici della seconda sezione penale della corte d’Appello di Milano, se i testimoni provano ad allontanare da sé i sospetti, “cercando di indirizzare le attenzioni investigative su un capro espiatorio esterno alla effettiva catena di comando operante in azienda”, ciò che emerge è che Napoletano “anche formalmente del tutto estraneo alla complessa e stratificata macchina amministrativa ed alla concreta catena di comando che reggevano la gestione aziendale”, mai avrebbe potuto assumere “un tale sopravvento su un’intera schiera di dirigenti e tecnici” come l’accusa ha tentato di sostenere in un impianto accusatorio risultato inconsistente. L’idea che Napoletano abbia contribuito a diffondere dati falsi, tra il 2014 e il 2016, sulle vendite e sulla diffusione del Sole 24 Ore, per veicolare un messaggio positivo sull’andamento del principale quotidiano economico in modo da influenzare il prezzo di vendita degli spazi pubblicitari – che portò alla sospensione di Napoletano e poi alla risoluzione del rapporto con il giornale nel 2017 – viene respinta con vigore.
Che il direttore “con callida predeterminazione avesse costantemente accuratamente dunque, sin dall’inizio e lungo l’intero percorso della propria attività professionale presso il Sole evitato di comunicare con strumenti tracciabili proprio e solo in materia di dati diffusionali, risulta essere francamente una mera inaccettabile presunzione, priva di qualsivoglia fondamento”. Così come sui rapporti con Di Source, la società incaricata di gestire gli abbonamenti digitali, nessuno dei testimoni ben informati parla di “ingerenze” così escludendo “esplicitamente qualsivoglia coinvolgimento” di Napoletano.
I giudici mettono in evidenza anche come “il Tribunale impedì alle parti di utilizzare per le contestazioni ai testi ex art. 500 c.p.p. i verbali delle dichiarazioni rese dai testimoni dinanzi agli Ispettori della Consob, né detti verbali vennero acquisiti agli atti del giudizio”. Una decisione che sembrerebbe “stridere con la possibilità, niente affatto negata dalla giurisprudenza, di utilizzare nel giudizio penale le dichiarazioni rese da soggetti informati dinanzi ad organismi amministrativi, quali ad esempio il curatore incaricato in un fallimento”. “Non si comprende perché detti atti non siano stati comunque acquisiti al processo quali documenti – osservano – rifiutare in tal modo di prendere atto di tali evidenze, palesemente favorevoli all’imputato, è equivalso ad alterare gravemente ed in radice il punto di vista valutativo e ad inficiare gli strumenti a tal fine disponibili”.
Perentorie le conclusioni dei giudici d’appello che si associano a un punto centrale ricostruito dalla difesa che rimarca come, “contrariamente a quanto sostenuto nelle memorie Consob, proprio le e-mail che effettivamente coinvolgevano l’imputato Napoletano (inviate o ricevute) dimostrano – scrive la corte – come egli fosse il semplice destinatario e fruitore dei dati sulla diffusione digitale, che gli venivano comunicati, e non dunque il loro falsificatore o l’ispiratore della loro falsificazione”.