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Cosa significa autoprodursi nel panorama musicale odierno.

Intervista al musicista Luca La Duca Lo scorso 19 aprile è uscito in tutte le piattaforme digitali “Ambient Side” l’Ep...

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Intervista al musicista Luca La Duca

Lo scorso 19 aprile è uscito in tutte le piattaforme digitali “Ambient Side” l’Ep di esordio di Luca La Duca, musicista dalle origini palermitane ma ‘adottato’ dalla scena musicale milanese.

“Ambient Side” è distribuito dall’Angapp Music e contiene tre brani. “Due contro una”, “Tema alla Sakamoto” e  “La specie”. Sia nel sound che nello stile compositivo è evidente il legame che La Duca ha con la musica per cinema.  Scritto, prodotto e arrangiato da Luca La Duca (chitarre, pad, elettronica e sound design), l’Ep, di cui mix e master sono a cura di Alessandro La Barbera, ha visto la partecipazione di altri musicisti come Vincenzo Salerno ai sassofoni e Angelo Di Mino ai violoncelli.

In questa intervista il musicista Luca La Duca ci parla della sua forte passione nei confronti del cinema, del processo creativo delle sue composizioni e di cosa significa autoprodursi nel panorama musicale odierno.

Luca, da dove trai l’ispirazione per le tue composizioni?

Le fonti di ispirazione cambiano e mutano costantemente nel tempo oltre ad essere differenti in funzione delle sonorità a cui mi sto dedicando in un dato periodo.  Per questo EP, i riferimenti principali sono naturalmente ritrovabili nell’ambito di una certa elettronica oltre che di uno specifico ambient. La musica di Brian Eno ha chiaramente ha avuto un grande rilievo e, forse ancor di più, quella di suo fratello Roger, bellissima! Le soundtrack dei film del regista Jim Jarmusch, da lui stesso composte insieme alla sua band Squrl, sono parimenti per me grande fonte di ispirazione. Negli ultimi anni, inoltre, sono diventato un grande fan della musicista, DJ e producer Arca, le cui sonorità hanno anch’esse fortemente influenzato questo EP, anche se probabilmente sono il solo a sentirlo.

Nel sound e nei pezzi che compongono il tuo Ep si evince una grande passione nei confronti del cinema. Come nasce questa passione?

Fin da piccolissimo stavo ore chiuso in cameretta a recitare tutti i film che guardavo: “Pinocchio” di Walt Disney era il mio preferito, dopo qualche anno mi colpì molto anche la versione film di Comencini. Recitavo a memoria le parti di ogni singolo personaggio rispettando tutti i tempi. Alle scuole medie l’interesse è cresciuto ulteriormente: a 12 anni mio cugino mi diede “Amarcord” di Fellini, a 14 mi appassionai a Kubrick; suppongo che mi sfuggissero tante cose di quei film ma il cinema d’autore mi piaceva tanto. Oggi il mio regista preferito è Jim Jarmusch: bellissimo il suo “Only lovers left alive” di cui invidio le musiche; le avrei volute comporre io!

Tre aggettivi per definire Ambient Side…

Dark; classico/elettronico; blu scuro.

Le tue composizioni sono un mix di sperimentazione e generi musicali. C’è però un genere al quale sei particolarmente affezionato e perché?

Troppi! Sono ancora legatissimo a tutto quello che ascoltavo da adolescente: i Beatles, con cui mi sono avvicinato alla musica, i Pink Floyd di Syd Barrett, Oasis e RHCP. In generale, sono attratto dalle individualità artistiche, uniche e non classificabili: Barrett appunto, ma anche Elliott Smith, grande artista, Robert Wyatt, Tom Waits, Bowie, De Andrè e Battiato in Italia. Che generi fanno? Sono tanti, trasversali e molteplici ma, in fondo, suonano semplicemente loro stessi.

Cosa significa essere un auto- produttore nel panorama musicale odierno?

Significa sicuramente risparmiare in quanto l’auto-produzione abbatte tantissimo i costi di realizzazione della propria musica. Da un punto di vista artistico, però, l’essere produttore di se stessi permette di realizzare appieno la propria visione, sempre che la si abbia, senza rischiare che questa venga annacquata.  L’auto-produzione ti consente di prendere tutto il tempo necessario per far crescere e sedimentare idee e intuizioni. Io posseggo un workflow molto lento: lavorando da solo posso passare intere giornate, settimane o mesi, processando, editando e manipolando suoni, prendendomi tutti i periodi di pausa necessari per elaborare e correggere il tutto.

Qual è la parte più bella del tuo lavoro da compositore?

Possedere un’idea di musica, immaginare delle sonorità nella tua testa, ingegnarsi e studiare per concretizzarle. Io, ad esempio, il sound di questo EP l’ho immaginato nel 2018, sono sei anni che lo inseguo, non possedevo all’inizio gli strumenti, né tecnici né artistici, per realizzarlo ma è allora che ho tracciato la mia direzione, che ho avuto la visione.

Progetti futuri…

Mi sto adoperando, anche con la collaborazione di altri musicisti, per costruire un live-set in modo da portare “Ambient side” nei club e nelle sale nel più breve tempo possibile. Parallelamente, a livello compositivo, sto lavorando a dei brani che, a differenza di questi appena usciti, prevedono la presenza di drum machine e batterie elettroniche che affiancano così le sonorità ambient ed eteree. Mi piacerebbe chiamare quest’altro progetto “Electronic side” e poter mostrare così due diverse identità: il lato ambient e il lato elettronico.

 

 

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