Intervista al Dottor Federico Russo
Il burnout emotivo è una condizione psicologica sempre più in crescita in Italia nel mondo lavorativo e non solo.
A evidenziarlo sono i dati INAIL relativi al primo trimestre del 2024 dai quali emerge che, rispetto allo stesso periodo del 2023, sono aumentate del 17,9% le denunce di malattie professionali legate a disturbi psichici e comportamentali.
Il burnout emotivo è caratterizzato da frustrazione, carico di stress e disturbi psicologici che influenzano inevitabilmente la vita lavorativa e provata del soggetto. Una condizione che porta il soggetto ad un vero e proprio esaurimento nervoso i cui sintomi a volte sono sottovalutati.
Ne facciamo chiarezza in questa dettagliata intervista con il Dottor Federico Russo, psicologo e psicoterapeuta, Direttore Clinico di Serenis, piattaforma digitale di benessere mentale e centro medico autorizzato.
Dottor Russo, che cosa si intende per burnout emotivo?
Il termine burnout si riferisce a quello stato di esaurimento delle proprie risorse, sia fisiche che mentali, che deriva dal fronteggiamento di stressors connessi al contesto lavorativo, protratti nel tempo. Sebbene l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisca il burnout come un fenomeno occupazionale, spesso il termine viene esteso ad altri ambiti, in cui si osservano dinamiche simili: il burnout scolastico, il burnout familiare o da caregiver, il burnout emotivo. Con il termine burnout si sottolinea quindi il carico di stress che supera le risorse a disposizione della persona per affrontarlo, stress che deriva da una serie di difficoltà connesse appunto con il lavoro, la scuola, ma anche con la famiglia o l’assistenza a persone malate.
Quali sono i primi campanelli d’allarme da non sottovalutare?
Lo stesso esaurimento emotivo è uno dei sintomi principali del burnout in senso lato: le persone si sentono svuotate, private delle energie mentali per gestire le difficoltà, ma anche a livello fisico si percepisce maggiore stanchezza. I sintomi fisici possono essere anche particolarmente acuti, e manifestarsi con cefalee, dolori al petto da ansia, aumento della frequenza cardiaca, disagi gastrointestinali. Il sonno disturbato è un altro campanello d’allarme molto frequente: il disagio emotivo può ostacolare l’addormentamento o portare a risvegli precoci, e viceversa, la deprivazione di sonno può portare a un peggioramento dei sintomi psicologici e fisici, innescando così un circolo vizioso.
Quali i soggetti più a rischio?
A livello soggettivo, le persone che hanno difficoltà a gestire lo stress possono essere colpite più facilmente dal burnout. Soprattutto se si stanno attraversando dei cambiamenti di vita significativi, le sfide che comportano possono arrivare a sopraffare le capacità per affrontarle.
Come mai le donne sono più esposte rispetto agli uomini?
La suscettibilità allo stress che porta al burnout non varia necessariamente in funzione del genere di per sé, quanto più dai fattori esterni, culturali, che portano a un maggior rischio per le persone socializzate come donne. La discriminazione di genere, anche quando sottile, incide in maniera significativa a livello psicologico, oltre che pratico; si manifesta in ambito lavorativo, familiare, assistenziale, scolastico, in varie forme: dalla svalutazione delle competenze, alle prescrizioni di copioni sociali che vedono le donne come uniche responsabili della cura della famiglia e delle persone malate. Altrettanto importante è il ruolo dell’espressione emotiva: alle persone socializzate come uomini non è permesso esprimere dolore o vulnerabilità emotiva, caratteristiche considerate dalla cultura patriarcale come difetti, di conseguenza riduce le possibilità di richiesta di supporto psicologico. Al contrario, dalle persone socializzate come donne ci si aspetta emotività e vulnerabilità, caratteristiche ritenute adeguate al ruolo di donna, anche perché meno minacciose nei confronti del potere maschile. Allo stesso tempo, le sfide di vita e le dure aspettative sociali nei confronti delle donne sono spesso più schiaccianti e stressanti rispetto alla controparte maschile. Le donne tendono a essere più consapevoli del disagio che stanno vivendo, e tendono a chiedere maggiormente supporto psicologico.
Come uscire dal burnout emotivo? Quando è necessario chiedere un aiuto psicologico?
Il primo passo più importante è riconoscere di trovarsi in una situazione di burnout, o di forte disagio psicofisico, e saperle dare un nome. In alcuni casi, risolvere dei fattori esterni responsabili dello stress permette di alleggerirne il carico. Spesso, però, è proprio l’impossibilità di risolvere parte di tale stress a instaurare quel circolo vizioso che lo alimenta. A quel punto, quando il burnout peggiora significativamente la qualità di vita, richiedere un aiuto psicologico diventa fondamentale. Ma è altrettanto utile prevenire l’acutizzazione o la cronicizzazione del burnout richiedendo supporto già ai primi segnali, quando percepiamo che abbiamo esaurito le risorse disponibili e che lo stress ci sta travolgendo.
In che misura un psicoterapeuta può aiutarci a superare il burnout emotivo?
La psicoterapia aiuta a superare il burnout attraverso varie strade. Permette prima di tutto di sviluppare maggiore consapevolezza su ciò che si sta vivendo, così come sui punti di forza su cui poter fare leva, e sull’identificazione dei fattori esterni e interni che creano maggior disagio. Fornisce gli strumenti psicologici per gestire le emozioni e il carico di stress, per ridurne l’intensità e migliorare la qualità della vita. Aiuta a sviluppare o affinare le capacità di problem solving, utili per agire in maniera concreta sull’ambiente circostante, oltre che sul proprio mondo interno, in periodi di stress.