“Ti somiglia ma non sei tu”, l’anti-tormentone estivo.

Intervista al cantautore Francesco Sacco

Dal 7 giugno, è uscito in digitale “Ti Somiglia Ma Non Sei Tu” (http://ada.lnk.to/TISOMIGLIAMANONSEITU), il brano del cantautore, compositore e producer Francesco Sacco (Nicotina Dischi/ADA Music), che anticipa il nuovo album di prossima uscita, terzo lavoro in studio dell’artista.

Il brano è un anti-tormentone estivo, che utilizza toni ironici, caustici e rassegnati per riflettere sul genocidio del popolo palestinese e sulla distorsione delle notizie da parte dei media occidentali. Critica la borghesia tardo capitalista, egoista e indifferente, che segue passivamente il flusso rapido delle informazioni sui social media, dimenticando velocemente i drammi umanitari. In contrasto con il testo di denuncia, la musica ha un mood spensierato e pop, che descrive il tipico “brainwash da tormentone estivo”, del quale recupera, cita, rielabora e distrugge alcuni degli elementi più iconici. 

La canzone invita a riflettere sulla nostra umanità in un contesto di distrazione mediatica.  Ce ne parla nel dettaglio in questa intervista il polistrumentista e compositore Francesco Sacco.

 

Francesco, com’è nata l’idea di scrivere questo singolo che si prospetta un anti- tormentone e che affronta tematiche attuali molto delicate?

Non è stata una scelta presa a tavolino: ho iniziato a lavorare alla base insieme a Luca Pasquino (con il quale collaboro da anni sulla produzione della parte musicale) senza immaginare un tema in particolare. Quando mi sono messo a pensare al testo semplicemente non riuscivo a pensare ad altro: il disastro in Palestina è una questione che seguo con impegno da anni, e l’escalation avvenuta nell’ultimo anno ha fatto sì che questo dolore raggiungesse e monopolizzasse anche la mia creatività.

Solitamente quando componi un pezzo, scrivi prima il testo e poi la musica o viceversa? Come avviene l’atto creativo dei tuoi pezzi?

Ogni brano ha una storia molto diversa, mi capita di partire da una melodia ma anche da una linea di testo. Altre volte ancora metto a fuoco un tema in maniera molto precisa e scrivo contemporaneamente musica e parole.

Nel tuo brano contesti molto la distrazione mediatica alla quale siamo abituati e che devia la nostra attenzione non aiutandoci a focalizzarla su ciò che merita davvero considerazione e che viene celato. Tu come ti poni nei riguardi di questa tendenza?

Cerco di rimanere vigile e di non lasciarmi assuefare dal fiume della comunicazione, che a volte fa “scadere” notizie di attualità, facendoci concentrare sul prossimo trend. Questo vuol dire dedicare più tempo a come ci si informa, facendo caso all’affidabilità e all’origine delle fonti. In generale non mi reputo un esperto di comunicazione, ma cerco di non spegnere il cervello.

Come e in che misura la musica può diventare veicolo di messaggi e tematiche che ci riguardano in quanto esseri umani?

Dipende molto dal contesto storico e sociale: ci sono stati anni in cui la musica doveva essere militante quasi per forza, come nel cantautorato anni ’70. Ma anche l’Aida di Giuseppe Verdi o il Flauto Magico di Mozart sono opere intrise di politica. Oggi l’industria tende ad appiattire molto il messaggio, ma mi sembra che sia il pubblico a riportare la centralità di tematiche urgenti nella produzione musicale. Pensa ai fan di Taylor Swift che  le chiedono di commentare la guerra: mi sembra un segnale molto forte da parte del pubblico.

Com’è nata la tua passione per la musica?

In modo abbastanza imprevedibile devo dire, visto che nessuno in famiglia è musicista. Credo che ad un certo punto abbia sentito che quel canale era quello che mi passava messaggi, emozioni e racconti nel modo più efficace, tanto da desiderare di non essere solo dalla parte di chi l’ascolta, ma anche di chi la fa.La tua formazione musicale è vasta ma qual è il genere musicale che senti più tuo e che ti permette di esprimerti al meglio?

Non saprei davvero sceglierne uno, mi sento proprio frutto di una grande commistione di generi, stili ed epoche diverse. Sicuramente il blues ha dato moltissimo alla mia formazione, insegnandomi che si possono dire cose complesse in maniera semplice. Così come il cantautorato, che mi ha dimostrato il potere delle parole, o la techno, che mi ha insegnato a buttare sempre un occhio al pubblico, “alla pista”.

Qual è il disco che ti ha segnato in quanto musicista e perché?

Anche qui sono davvero tanti: ti direi “Abbey Road”, perché mi ha dato un’apertura mentale pazzesca per produzione e arrangiamenti, “Sogs of Love and Hate” di Cohen per i testi e il disco omonimo “The Libertines” per l’attitudine.

Sei il fondatore del collettivo di arti performative “Cult of Magic”. quanto la fusione tra le diverse forme artistiche ti ha fatto evolvere dal punto di vista musicale?

Moltissimo. Lavorare con l’arte e la danza contemporanea mi ha dato un’attenzione al dettaglio e alla drammaturgia che prima non avevo. Dall’altro lato credo di aver portato dietro un gusto abbastanza diretto e pop in campi tendenzialmente più intellettuali.

Qualche anticipazione sull’album che sta per uscire…

Sarà un disco che fonde le ispirazioni e le tendenze dei miei due lavori precedenti: una grande attenzione ai testi, che sono decisamente da cantautore, e un discorso musicale elettronico, diretto, pieno di inventiva e sperimentazione.

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