L’adolescenza è un’età assolutamente non facile. Affrontarla con una sorta di leggerezza (da non confondere con la superficialità!) può essere estremamente d’aiuto.
Questa fase segna l’ingresso nell’età adulta ed è caratterizzata dalle prime cotte, dalle relazioni con i pari che diventano emblematiche e con i quali si condividono emozioni spesso contrastanti ed esperienze davvero memorabili. Ne abbiamo piena testimonianza calandoci nella lettura del nuovo romanzo dello scrittore romano Paolo Marati “Non si può essere troppo seri”, Edizioni Il Foglio.
Protagonista di questa storia ambientata nei primissimi anni Ottanta è Patrizia, una sedicenne che ha perso il padre a 9 anni. Questa ferita ha creato una sorta di crepa dentro di sé di cui non è consapevole e per cercare di placare il dolore che ne deriva Patrizia affronta lo studio scolastico con rigore e cerca di trovare la stabilità emotiva nelle sue cotte e prime esperienze amorose.
“Non si può essere troppo seri” è un romanzo che cala il lettore nel mondo multisfaccettato dell’adolescenza inducendolo a riflettere su molte tematiche esistenziali come il valore dell’amicizia, il tradimento, il bisogno di tracciare la propria identità anche grazie al confronto con gli altri e il mondo adulto.
L’ambientazione negli anni Ottanta inevitabilmente ci fa capire di quanto era diverso vivere l’adolescenza in quegli anni in cui per incontrarsi non c’erano le chat e i social networks. Erano gli anni in cui ci si incontrava in luoghi fisici che diventavano memorabili. Inoltre si trascorreva tanto tempo con i propri coetanei parlandosi dal vivo, guardandosi negli occhi.
Un romanzo scritto ad arte destinato agli adolescenti e agli adulti al tempo stesso. Ancora una volta Marati si conferma uno scrittore molto sensibile e molto abile a parlare di giovani ai giovani (e non solo) facendo emergere sfaccettature e sfumature emozionali che rimangono impresse nella mente dei lettori. In questa intervista esclusiva con Paolo Marati parliamo delle tematiche affrontate nel suo romanzo che ci forniscono tanti spunti di riflessione sul mondo adolescenziale e sulle relazioni umane.
Paolo, partiamo dall’origine, com’è nata l’idea di scrivere questo romanzo ambientato negli anni Ottanta con protagonista una sedicenne?
Ho sempre trovato affascinante l’adolescenza, il periodo della vita in cui si abbandona l’infanzia e ci si accosta all’età adulta senza però possedere una personalità solida. Si sperimentano i primi entusiasmi e le prime delusioni non soltanto con il fervore o la disperazione nei confronti della novità, con lo sgomento o la curiosità verso l’inatteso, ma anche senza possedere criteri di giudizio stabili e saldi meccanismi di autodifesa. Ma sia le gioie che i dolori, pur nella loro intensità singolare, di solito si rivelano di breve durata. Perché una caratteristica dell’adolescenza è l’essere costantemente proiettata verso l’età adulta. Ho scelto di ambientare il romanzo tra il 1981 e il 1982 perché ritengo che sia stato un biennio fondamentale per l’Italia, un vero e proprio spartiacque tra i cosiddetti anni di piombo e gli anni del disimpegno edonistico. Inoltre, tale ambientazione mi ha permesso di mostrare una società non ancora schiava della tecnologia, lontana anni luce dall’alienazione social, in cui ancora era impensabile relazionarsi con gli altri da lontano, senza guardarsi negli occhi.
Attraverso il tuo romanzo il lettore viene catapultato nell’universo degli adolescenti degli anni Ottanta nel quale le dinamiche relazionali erano completamente diverse da quelle di oggi (che tu constati anche come docente). Secondo te dal punto di vista delle relazioni sociali era meglio essere adolescenti negli anni Ottanta o meglio esserlo oggi?
Dal punto di vista delle relazioni sociali erano molto meglio essere adolescenti negli anni Ottanta. I ragazzi si incontravano dal vivo quasi quotidianamente, frequentavano comitive a volte per trascorrere interi pomeriggi inconcludenti ma pur sempre in compagnia. I ragazzi della generazione z, si sa, trovano fatica a socializzare perché bloccati nell’isolamento inevitabile per dei nativi digitali. I social comportano conformismo e solitudine camuffati da ostentate felicità inebrianti. E incidono negativamente sulla vitalità che dovrebbe essere tipica degli adolescenti.
Attraverso i primi amori e le amicizie che intreccia nel corso di un anno assistiamo gradualmente all’ingresso in una fase più matura da parte di Patrizia, la protagonista. Questa fase è un preludio dell’età adulta. Quanto le sofferenze e il dolore influenzano questo ingresso?
Molto. Patrizia – spero che il lettore lo tenga sempre a mente – è rimasta orfana di padre a nove anni. È in fase di elaborazione del lutto, a quell’età particolarmente ardua. Lei, però, non se ne rende conto. Sia nelle amicizie che negli amori che nel rapporto con i professori e con gli adulti in generale, Patrizia è condizionata da questa ferita non cicatrizzata. È in perpetua ricerca di leggerezza. Ma non riesce ad affrontare la vita con disinvoltura. Piano piano acquisisce una maggiore consapevolezza di sé. Tuttavia, la sofferenza permane e la conduce, fino all’ultimo, a cercare dei veri e propri sostituti paterni perfino nei ragazzi di cui si infatua.
Una tematica che affronti nel tuo romanzo è il tradimento che Patrizia subisce in duplice forma. Come lo reputi e secondo te è più doloroso essere traditi da un amico o da un partner?
Si tratta di due forme di tradimento che gravano su tutta la vita. Anche dopo anni spuntano all’improvviso nel flusso dei pensieri senza essere stati richiamati alla memoria. Per un adolescente è peggiore essere tradito da un amico. Il partner, in quel periodo, viene adorato visceralmente ma, al contempo, viene considerato provvisorio. L’amico viene visto come un punto di riferimento fisso, un confidente su cui contare al di là dei limiti temporali.
Come allude il titolo del tuo libro e scriveva Rimbaud è vero che durante l’adolescenza “non si può essere troppo seri”?
Sì, meglio lasciare la serietà (e la seriosità) all’età adulta. Da ragazzi si ha fondamentalmente una sola responsabilità: la scuola. Prendere la vita con eccessiva serietà significa rinunciare a vivere appieno i propri sedici-diciassette anni. Significa perderli. Purtroppo, vedo molti ragazzi della generazione z spesso rabbiosi, poco coscienti della spensieratezza propria della loro età. Forse si tratterà di una conseguenza dei danni esistenziali e sociali provocati del mondo ipertecnologico e virtuale in cui si sono ritrovati a vivere già dall’infanzia.
E nell’età adulta? Quanto è importante quella che Calvino definiva “leggerezza”?
È fondamentale riconoscere la differenza tra leggerezza e superficialità. Vivere l’età adulta con leggerezza significa essere aperti alla novità, essere pronti a cambiare con ponderazione. Vivere l’età adulta con superficialità è, viceversa, pericoloso per sé e per gli altri, in tutti i campi, anche in quello sentimentale.
Leggendo il tuo romanzo è stato inevitabile per me ritornare con la mente ai ricordi legati alla mia adolescenza e alle cotte e amicizie ad essere connesse. Secondo te è meglio rivivere questo tempo particolare della propria esistenza con rimpianti o rimorsi?
Meglio riviverlo con distacco, coscienti che si tratta di un passato ormai sciolto dal presente. Ma il distacco non dovrebbe risultare gelida indifferenza, ma dovrebbe essere accompagnato da un senso di tenerezza verso sé stessi ragazzi, verso i parenti che ormai sono invecchiati o non ci sono più, verso gli amici e i partner con i quali si sono creati dei ricordi incancellabili.
C’è un personaggio del tuo romanzo a cui sei particolarmente legato e perché?
A molti. Ma forse più di tutti a Patrizia, la protagonista, nonostante il suo comportamento risulti a volte discutibile. Ma forse anche i suoi errori e le sue incoerenze me la rendono cara, perché rivelano la sua umanità.
A chi consigli la lettura di “Non si può essere troppo seri”?
Ho ideato il romanzo per vari strati di pubblico. È sia un libro per adolescenti – che potrebbero rimanere empaticamente affascinati dal racconto delle vicende e dei problemi dei loro coetanei – sia un libro per adulti – che potrebbero soffermarsi sulle sfumature psicologiche su cui la storia si fonda. Un altro aspetto che potrebbe risultare interessante per i lettori adulti e incuriosire i lettori più giovani è l’ambientazione di cui si è parlato prima a inizio anni Ottanta.
Progetti futuri…
Ho cominciato a scrivere un romanzo breve vagamente autobiografico. Ma, poiché sono un introverso, non sono sicuro di terminarlo.