La scrittura è un’ottima alleata per aiutarci ad entrare in contatto con la parte più autentica del nostro essere facendo emergere sensazioni, emozioni e parti di noi stessi che ignoravamo o che fanno fatica ad emergere.
Praticarla attraverso la mindful writing è in grado di apportare tanti benefici alla mente e all’anima. È in grado di renderci più ricettivi ed empatici nei confronti di noi stessi per fare emergere consapevolezze inedite. Consente di dedicare un momento della giornata a noi stessi in cui metterci “a tu per tu” e in silenzio e in ascolto della parte più autentica di noi stessi. È questo un momento prezioso in cui essere solo ed unicamente noì stessi e dare sfogo alla propria parte più creativa che è fonte di vitalità ed energie positive.
La mindful writing unisce la filosofia buddhista del linguaggio a modi nuovi per coltivare la nostra creatività. Attraverso questa pratica si può uscire dalle solite storie che raccontiamo su di noi per trasformare in momenti poetici anche le fasi più difficili o dolorose. Perché nelle parole, in particolare quelle che diciamo a noi stessi, può nascondersi l’energia della crescita e della riparazione.
Lo si apprende leggendo “Scrivere storie di guarigione. Mindful writing” (Enrico Damiani Editore), il nuovo libro della Dottoressa Nicoletta Cinotti, psicoterapeuta, analista bioenergetica e appassionata insegnante di mindfulness. È un percorso fatto di teoria e moltissimi esercizi pratici, che aiuta a riconoscere in che modo le parole plasmano le nostre emozioni e i nostri pensieri, come possono ferirci o guarirci.
Di questa pratica creativa ce ne parla in questa intervista esclusiva la Dottoressa Nicoletta Cinotti
Dottoressa Cinotti, che cosa si intende per mindful writing?
Possiamo scrivere in tanti modi e il diario è una forma di scrittura che ha attraversato i secoli. Nel diario parliamo a noi stessi con noi stessi. Nel Mindful writing parliamo a noi stessi con le parole che la consapevolezza porta a galla. Parole che possono scrivere storie completamente diverse da quelle che siamo abituati a pensare in una forma diaristica autobiografica. Coltiviamo il pensiero laterale, la creatività, la capacità di mettere insieme in modo diverso non solo parti della nostra storia ma parti delle nostre sensazioni. Le parole non nascono solo dalla riflessione ma nascono dal corpo: con il mindful writing restituiamo al corpo centralità nel processo di costruzione del significato e lasciamo più spazio a quello che sentiamo e non solo a quello che pensiamo
Che valore ha la scrittura per un essere umano?
È una domanda molto ampia, tanto ampia che non so nemmeno se sono adatta a dare la risposta migliore. Posso dire che valore ha per me quando una persona scrive, che valore ha nel processo terapeutico e nel percorso di cambiamento. Le intuizioni sono bagliori che svaniscono rapidamente: scriverle è un modo per mettere insieme le intuizioni e dilatare il processo di attribuzione del significato, in modo da non nascondersi dietro alle solite storie che ci raccontiamo su di noi. Inoltre, spesso lo scrivere ci sopravanza: scriviamo di noi cose che non sapevamo di sapere fino a che non le abbiamo scritte. Passare dal verbale allo scritto ci regala un momento di immobilità. Ci fa rimanere nel luogo in cui siamo e, in quel luogo, ci permette profondità. Alcune persone non amano scrivere perché lo associano alla scuola ma se rompiamo le categorie formali, quanti di noi mandano messaggi perché hanno bisogno di mettere a fuoco meglio quello che sentono? Mai come in questo momento la poesia è citata, letta ascoltata. Perché? Perché quelle poche parole raccontano meglio di tanti discorsi il turbamento che viviamo e rompono il velo di solitudine che ci circonda. Ecco forse è per questo che scriviamo: per rompere il velo della solitudine perché nello scrivere noi diventiamo i nostri primi lettori
Quando la creatività può essere curativa?
Secondo me la creatività è sempre curativa. Tutte le volte che “inventiamo una via di fuga” oppure troviamo una soluzione nuova oppure facciamo diversamente qualcosa di abituale e in questa diversità scopriamo una nuova bellezza, curiamo una parte di noi e coltiviamo fiducia nelle nostre capacità. Non guariremmo da nessuna malattia, fisica o psichica se non riuscissimo a trovare soluzioni creative. Il nostro corpo è un bellissimo esempio di creatività: come cicatrizziamo, come possiamo bloccare delle cellule cancerogene senza sviluppare malattia, come reagiamo alla cura, come sfidiamo i risultati nelle performance sportive. Per me sono tutti esempi di creatività. Purtroppo, abbiamo la brutta abitudine di considerare la creatività come una qualità presente negli artisti e di sottovalutare che nessuno di noi andrebbe avanti senza creatività. In questo modo molte persone posso escludere attività che ritengono creative – come la scrittura – senza nemmeno provare. Oppure immaginare che scrivere sia come fare i componimenti che ci perseguitavano negli anni scolastici, soggetti a voti, critiche e giudizi. Quello che scriviamo può rimanere solo per noi eppure, proprio per questo, avere moltissimo valore.
Come e in che misura la scrittura è in grado di metterci in connessione con la parte bambina che è in ognuno di noi?
Scrivere storie di guarigione è nato e cresciuto attraverso il lavoro di mindfulness e self-compassion che porto avanti nei miei ritiri e nei protocolli. Mi sono accorta che era inevitabile la necessità di scrivere. Alcune persone chiedevano proprio di avere qualche minuto, dopo la meditazione, per prendere appunti e io stessa, dopo la meditazione, ho sempre preso qualche nota nel mio diario di pratica. Nel Reparenting questo diventa un modo per entrare in dialogo con delle parti di noi che di solito tendiamo ad agire ma non ad ascoltare, con il risultato che poi le esiliamo per proteggerci dai guai che hanno combinato. In realtà il guaio l’abbiamo fatto noi, coltivando la sordità percettiva che fa sì che procediamo indifferenti, avanti come se nulla fosse, salvo poi agire impulsivamente. Scrivere è un modo per restituire voce a ogni parte di noi, indipendentemente dall’età anagrafica percepita. Noi siamo come alberi: dentro di noi stanno tutte le età della vita vissuta e, a volte, penso che stanno anche tutte le età della vita che vivremo.
E con quelle che vengono chiamate “parti esiliate”?
Per continuare il discorso precedente noi tendiamo a esiliare parti che, nel momento in cui si sono verificate hanno superato di gran lunga la nostra finestra di tolleranza. Per tenerle esiliate investiamo energia, ci difendiamo, organizziamo delle parti protettrici e ci dimentichiamo di un fatto semplice: se quando sono avvenute erano troppo. Nel frattempo siamo cresciuti e potremmo aver sbagliato la misura e sparare con il cannone per tenere sequestrati degli uccellini. Abbiamo bisogno di trovare parole di conforto per queste parti esiliate (altra buona ragione per scrivere) e lasciarle parlare. Potremmo scoprire che siamo perfettamente in grado di sostenere quelle parti della nostra storia e che combattere per mantenere l’esilio è una logica perdente. Ci fa perdere energie, risorse, opportunità, creatività, in una parola ci fa perdere il bello della vita. Le esiliamo per sentirci sicuri quando poi è, come dice un haiku, l’incertezza che rende preziosa la nostra vita, che rende ogni momento così bello perché assolutamente unico.
Quanto è importante il silenzio per praticare la mindful writing?
Io direi che il silenzio è essenziale per la vita. Ci sono tanti tipi diversi di silenzio: c’è il silenzio della natura, che è pieno di suoni, anzi di eventi sonori del momento presente. C’è il silenzio dell’assenza di parole che a volte può essere leggero e altre volte pesantissimo come una condanna. C’è il silenzio dell’attesa, quando aspettiamo una risposta e, in quel silenzio iniziamo a costruire un significato a volte con il filo della paura, altre volte con il filo della speranza. E poi c’è il silenzio della nostra mente, quando il chiacchiericcio si placa e radio Non Stop Thinking smette le sue trasmissioni. In quel silenzio possiamo vivere il tempo profondo, quello che va al di là dello scorrere cronologico. È un tempo in cui tutti i silenzi diventano un unico suono, il suono del nostro respiro. La cosa bella è che, come diceva Chogyam Trungpa, tutto il rumore che incontriamo non va considerato un ostacolo da scacciare ma un passo del percorso per arrivare al silenzio del tempo interiore, quello che sperimentiamo quando la mente è calma e aperta. A me piace pensare che la mente è come un torrente di montagna: più è ostacolata e più canta e che la cosa importante è cogliere il bagliore del silenzio in ogni suono. Perché ogni suono ha bagliori di silenzio che, come nella musica, ci aiutano a distinguere il ritmo. Più siamo abituati al silenzio – che può anche semplicemente voler dire digital detox – e più ci è facile ascoltare noi stessi e gli altri
La mindful writing può aiutarci a migliorare il nostro essere in relazione con gli altri e allenare la propria empatia?
Jon Kabat- Zinn dice che mindfulness è anche heartfulness e che se dovesse dare una definizione aggiornata di cos’è la mindfulness direbbe che la mindfuness è relazione, con noi e con gli altri. In tutte le tradizioni religiose vale la regola d’oro della reciprocità, non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. La base della nostra capacità di entrare in relazione e amare gli altri sta in quanto e come siamo in grado di amare ed entrare in relazione con noi. Se non abbiamo questa capacità di amore e self-compassion per noi stessi, gli altri diventeranno ben presto “cibo per la nostra fame”: persone buone se soddisfano i nostri bisogni e cattive se non li soddisfano. Credo che l’empatia debba essere alla base dei comportamenti pro-sociali ma che siano la compassione e la self-compassion che vengono coltivati dalla pratica di mindfulness e di mindful writing. Uno degli esercizi che facciamo è scrivere le parole che avremmo voluto sentirci dire. Basta fare questo elenco per capire che non ha senso coltivare il rancore perché non ci sono state dette e che quello che ci nutre è trovare un modo per dircele nel momento del bisogno.
Per praticare la mindful wiriting bisogna saper scrivere bene?
C’è un bellissimo e piccolo librettino che si chiama “I quaderni di Luisa” vincitore nel 1994 del premio Pieve, un Premio istituito dall’Archivio Diaristico Nazionale. È scritto da una donna semianalfabeta che recupera un po’ di scolarizzazione attraverso i figli; eppure, è uno dei migliori esempi di mindful writing che conosco. Luisa è una donna che prende corpo attraverso il suo scrivere, sgrammaticato, povero lessicalmente eppure di un’incisività e profondità che va ben al di là della sintassi e della grammatica. I quaderni hanno una dotta e interessante prefazione, che tocca temi sociali, culturali e psicologici, eppure quella prefazione è ben lontana dal mindful writing anche se non c’è nulla di sbagliato né nel contenuto e tantomeno nella sintassi. Cosa fa la differenza? La prima persona. I quaderni di Luisa sono scritti in prima persona, è lei che parla di sé a sé stessa. La prefazione ci racconta cose giuste e interessanti, totalmente in terza persona. Ecco il mindful writing è una scrittura in prima persona, indipendente dalla grammatica, dalla sintassi e dalla coerenza complessiva del testo. Luisa, l’autrice del quaderno, si vergogna della sua ignoranza ma dice anche, “tu quaderno sei la vera Luisa nel bene e nel male e rinnegarti sarebbe un suicidio”. Quando ci rinneghiamo, togliendo voce a noi stessi, andiamo oltre all’esilio
La pratica del mindful wrting richiede costanza? È necessario scrivere quotidianamente?
Noi siamo grandi abitudinari, anche le persone più incostanti lo sono: è l’abitudine che ci ha insegnato a camminare, a parlare, a scrivere, a studiare, ad andare in bicicletta, a rafforzare i muscoli. Con l’abitudine rafforziamo quello che stiamo imparando attraverso la ripetizione e la riparazione dell’errore. Il mindful writing è come la poesia, tu puoi leggere cento volte la stessa poesia e ti appare sempre diversa. Il mindful writing, anche se diventa un’abitudine, appare sempre diverso. Non va poi confusa l’abitudine con la costanza. Ognuno ha il proprio ritmo, la frequenza non può essere una regola imposta. Conosco gloriose disobbedienze e mute obbedienze che non producono frutto perché l’obbedienza diventa un tappo e non una chiave espressiva.
Quale consiglio darebbe a chi si approccia a questo tipo di pratica?
Di prendere un quaderno normale e una penna molto scorrevole, perché i quaderni troppo belli intimidiscono. Meglio non dire a nessuno quello che si sta facendo almeno per un mese, meglio sei mesi, e di tenere al sicuro i quaderni da occhi indiscreti. Dobbiamo scegliere di mostrare, non essere visibili senza la nostra volontà. Molto spesso mi è successo che i genitori mi portassero i quaderni o i disegni dei figli senza rendersi conto della violenza di quel gesto. La privacy è una cosa seria. Se non siamo sicuri che verrà rispettata non diremo la verità e la verità è l’unica vera penna della nostra anima.