A pesare il caro-affitti, tra i meccanismi della normativa Ue e la riforma Bersani del 1998 e la vocazione sempre più turistica della città
L’ultimo baluardo, in ordine cronologico, è il Trottoir di piazza XXIV maggio, storico ritrovo di artisti e intellettuali in Darsena, che il 30 gennaio abbasserà definitivamente la serranda per lasciare il posto ad un’osteria. Ma a Milano l’elenco è davvero lungo: la pasticceria San Gregorio a Porta Venezia, l’antico ristorante Boeucc, dal 1939 nella centralissima piazza Belgioioso, fino ad arrivare ai più recenti, ma non meno iconici Pandenus e Swiss Corner. Tutti accomunati dall’impossibilità di portare avanti la propria attività schiacciati dai costi di affitto arrivati ormai alle stelle. Ognuna di queste attività è infatti giunta a scadenza di contratto e a tutte, o quasi, è stato chiesto almeno il doppio di quanto avessero speso finora. In molti si chiedono il perché, che cos’è che abbia spinto questa corsa al rialzo. Trovare una risposta immediata e univoca sembra impossibile, ma analizzando la situazione da più punti di vista si può tracciare un quadro piuttosto chiaro.
Bisogna partire da lontano, più precisamente dal 1998, quando l’arrivo del cosiddetto decreto Bersani dà il via una profonda riforma del settore del commercio. L’approvazione del provvedimento consente, nei locali fino a 250 metri quadri di superficie, di aprire un qualunque tipo di attività commerciale senza più dover chiedere la licenza, aprendo di fatto alla concorrenza. “Con la liberalizzazione -spiega all’Adnkronos Marco Zanardi, dirigente e responsabile delegato per l’ufficio studi di Fimaa Milano, a livello nazionale la più grande associazione degli intermediari immobiliari- ognuno poteva aprire dove voleva e dunque la ricerca del locale non era più veicolata all’attività e questo ha fatto la differenza nel mercato, peggiorandolo peraltro perché il valore delle attività, che fino a quel momento erano legate alle licenze, ha subìto un crollo”.
Per fare un esempio, “per avere un’idea del valore di una attività bar tavola calda si moltiplicava il fatturato per 180%; oggi invece lo si moltiplica per 50 o al massimo 80%, compreso di attrezzature e arredamento. I piccoli negozi hanno quindi cominciato a perdere valore, cannibalizzati da supermercati e centri commerciali e questo ha ammazzato un po il commercio”. Ciò per dire che, “oggi non si vende più l’attività, ma la posizione delle mura: anziché darti 40.000 euro per una attività di cartoleria, ad esempio, te li do per dove hai la vetrina, cioè per la posizione. E dentro al negozio ci metto quello che voglio io”. Questo sistema ha fatto si che determinati brand e determinati tipi di attività si siano concentrati sulle vie più commercialmente redditizie, spingendone al rialzo i canoni di affitto. Per tutte le altre, invece, si è lasciato spazio alla desertificazione.
“A Milano -osserva Zanardi- i locali commerciali di proprietà di privati, in strade come Corso Buenos Aires, via Torino, Corso Vercelli o Corso XXII Marzo, hanno canoni molto alti che oscillano mediamente tra 15mila e 50mila euro al mese. Si tratta di cifre importanti, che non tutti riescono a sostenere, ecco perché ci si trovano sempre le stesse insegne, appartenenti a catene importanti che spesso non realizzano neanche guadagni troppo alti. Però non possono non esserci. Anzi, qualcuno è anche in perdita, ma per loro si tratta comunque di un bilancio consolidato”. La spesa sale ulteriormente per i negozi nella prima fascia esterna al centro, come Corso Venezia, dove il canone va dai 1.500 ai 3.000 euro al metro quadro e ancora di più per le zone immediatamente a ridosso del centro, come Corso Vittorio Emanuele, dove per il canone d’affitto occorrerà sborsare dai 3.500 ai 5.500 euro al metro quadro al mese.
Nelle altre vie, i piccoli negozi di vicinato chiudono, sotto il peso dei rincari di materie prime e costi energetici e per un passaggio che via via nel tempo si è sempre più assottigliato a causa della mancanza di parcheggi o semplicemente perché ormai tutto si trova nella grande distribuzione o nei centri commerciali. Del resto Milano è una città che negli ultimi anni ha vissuto una profonda trasformazione: “Diciamo che l’Expo 2015 è stato il punto di inizio che ha portato una città, che non era mai stata particolarmente toccata dal turismo, ad essere una tra le mete più gettonate del mondo -afferma-. Aumentando il turismo, sono cambiate le abitudini di acquisto e di fruizione dei luoghi. Un po’ come quando vediamo aprire un ‘kebab’ vicino piazza San Marco, a Venezia; sembra assurdo, ma è una situazione che riflette logiche puramente di mercato”.
Lato proprietari, spiega l’esperto, “il fatto che non si possa praticare la cedolare secca nei contratti di locazione degli spazi commerciali determina una richiesta maggiorata del canone di affitto, che va a ricadere su chi prende il locale in locazione. Recentemente -ricorda- nella Legge di Bilancio del 2019 si era data la possibilità di applicare la cedolare secca per negozi con determinate caratteristiche, ma poi non è stata più riproposta. Già questo potrebbe rappresentare una svolta per poter vedere i canoni abbassarsi”. Tuttavia “in questo particolare momento, i proprietari piuttosto che affittare ad un’attività destinata a fallire preferiscono tenere il locale vuoto. Del resto, attualmente, i tribunali sono pieni di gente in causa per insolvenza. E poi, un proprietario che non intende rinnovare un contratto deve indennizzare al conduttore la perdita di avviamento con una cifra pari a 18 mensilità che, nel caso di un canone di 15mila euro al mese, può voler dire un impegno davvero molto oneroso”.
Per quanto concerne i locali di proprietà del Comune, gli spazi destinati a servizi e attività commerciali sono sottoposti a normativa europea, la famosa ‘direttiva Bolkestein’, secondo la quale la concessione deve essere messa ‘a bando’, con una base d’asta fornita dall’Agenzia delle Entrate che ne fa una valutazione in base al valore di mercato. Certamente i cosiddetti ‘ambiti di pregio’, come la Galleria Vittorio Emanuele e piazza Duomo fanno caso a sé e, pur se messi a bando con basi d’asta stellari, hanno sempre un parterre di griffe e nomi prestigiosi pronti a giocarseli all’ultimo rialzo. Ma ci sono anche svariate proprietà in luoghi iconici della città, come gli ex caselli daziari in piazza XXIV Maggio o in Cinque Giornate, ad esempio, chioschi come quelli del Bar Bianco o del ‘Re del Pollo’ Giannasi, oltre ai locali nella struttura di piazzale Cadorna. Basti pensare che esistono locali Erp in immobili ubicati in zone centrali, come via Bagutta, corso Garibaldi, corso Magenta e corso XXII Marzo o al quartiere Isola. Si tratta di un migliaio di spazi gestiti dal Demanio, che in parte li destina ad attività profit, come appunto negozi, bar e locali, e in parte ad attività no profit, in questo caso con un canone abbattuto di oltre il 70% rispetto ai canoni di mercato.
Per calcolare il canone di affitto di questi spazi occorre una valutazione dell’Agenzia delle Entrate che, per poter fissare una base d’asta, deve tenere conto dei livelli attuali di mercato. Si procede quindi all’asta pubblica, tranne che per locali e botteghe storiche, che possono ottenere il rinnovo del contratto senza bando. E’ il caso, ad esempio, del Centro Luce Acqua Gas di Corso Garibaldi, una storica bottega di lampadine a due passi dal Teatro Strehler gestita da una signora ultranovantenne: il contratto di affitto era scaduto a marzo del 2021, ma sembra che l’attività stia per ottenere l’insegna di ‘bottega storica’ e dunque potrebbe avere una nuova chance di sopravvivere, senza dover passare per il bando.
Le aste degli spazi in Galleria negli ultimi hanno avuto offerte davvero straordinarie: Tod’s, nel 2022, si è aggiudicato un negozio da 249 metri quadri per 1,8 mln di euro all’anno, più del doppio della base d’asta di 722mila euro; nel 2023 Balenciaga si è assicurata uno spazio da 290 metri quadri triplicando la base d’asta fissata a 840mila euro e offrendo un canone annuale di 2,5 milioni di euro. I record al metro quadro ad oggi sono di Tiffany (20.600 euro al metro quadro), Dior (15.500 euro/mq) e Loro Piana (12.200 euro/mq), mentre in valore assoluto i canoni più alti oggi sono versati da Dior (5 milioni/anno per 324 mq), Gucci (4,5 mln per 798 mq) e Tiffany (3,6 mln per 174 mq).
Molta curiosità destano anche gli ex caselli daziari e i chioschi: tra gli ultimi messi a bando, il Casello Est di piazza XXIV Maggio: il locale che ospita il Trottoir, appunto; 335 metri quadrati su tre livelli. Partito da una base d’asta di 45mila euro, è stato aggiudicato per 97mila euro all’anno per 12 anni; i Caselli Nord e Sud di piazza V Giornate, 140 metri quadri di superficie, da una base d’asta di 41mila euro per ciascuno, sono stati aggiudicati rispettivamente per 48mila e 55mila euro ad un’agenzia viaggi e ad una attività di ristoro. Ultimo esempio, il Bar Bianco nel parco Sempione, messo a bando l’anno scorso per scadenza di contratto: partito da una base d’asta pari a 73mila euro, è stato riaggiudicato allo stesso ‘inquilino’, che ha vinto l’asta offrendo un canone di 93mila euro all’anno e investimenti di riqualificazione sull’immobile per oltre 450mila euro.
In centro, tuttavia, ci sono anche spazi decisamente più accessibili: il bar-tabacchi affacciato su via Silvio Pellico, 26 metri quadri di superficie, è stato messo a bando per un canone base di 48mila euro annui ed è stato assegnato per 73mila euro. E poi ci sono i locali al piano terra di caseggiati di edilizia residenziale pubblica: locali che all’apparenza potrebbero sembrare non così appetibili, ma che in realtà rappresentano veri e propri tesori per chi riesce ad aggiudicarseli. Ce ne sono diversi in zone prestigiose della città, dal negozio in corso Magenta di 24 metri quadri con canone a base d’asta di 7.700 euro/anno, al locale di 54 metri quadri in corso Garibaldi ad un canone di 16.200 euro; dal punto vendita di 40 metri quadri in viale Lombardia a 2.300 euro, a quello di 50 metri quadri in via Broggi a 6.800 euro.
Ultimi, ma non ultimi, i locali firmati Atm; ossia i bar e i negozi all’interno delle fermate della metropolitana. I canoni di affitto variano in base alla zona, un po’ come funziona per le abitazioni: più si è in centro e più alto sarà il costo, mentre in periferia la spesa è meno cara. I canoni di affitto vengono stabiliti da consulenti esterni seguendo le logiche di mercato: ad esempio un locale commerciale da 50 metri quadri in estrema periferia (Gessate) ha un canone poco più di 1.000 euro al mese, ma se mi sposto in Duomo o in Cadorna, per un locale della stessa metratura, il canone salirà tra i 6mila e gli 8 mila euro al mese.