“Tutto ciò che sentiamo è un’opinione, non un fatto. Tutto ciò che vediamo è una prospettiva, non la verità.”
— Marco Aurelio, Meditazioni, XII
Queste parole dell’imperatore filosofo Marco Aurelio, scritte nel II secolo d.C., sembrano oggi più attuali che mai. L’informazione corre veloce, frammentata e spesso manipolata, il confine tra ciò che è opinione e ciò che è fatto, tra ciò che vediamo e ciò che è davvero reale, si fa sempre più sottile. La nostra percezione del mondo non è mai neutra: è filtrata da cultura, esperienza, ideologia, tecnologia.
Marco Aurelio ci invita a distinguere tra ciò che sentiamo — le parole, i racconti, le notizie — e ciò che è. Un’esortazione semplice, quasi ovvia, eppure dimenticata nel vortice della comunicazione contemporanea. Le opinioni, anche se forti e ben argomentate, non sono fatti. Eppure, nei talk show, sui social network, nei commenti ai post, si tende a confondere il parere personale con la verità assoluta.
Nel dibattito pubblico, soprattutto su temi sensibili come guerra, migrazioni, giustizia, salute, le emozioni prendono il sopravvento sulla verifica. La pancia sostituisce la logica. In questo scenario, distinguere tra informazione e interpretazione diventa fondamentale.
Anche ciò che vediamo, ricorda Marco Aurelio, non è la verità ma solo una prospettiva. Non esiste uno sguardo totalmente oggettivo: ogni osservatore è inserito in una rete di significati culturali, storici e personali. Questo è particolarmente vero nel contesto mediale odierno, dove la realtà viene mostrata attraverso immagini e frame scelti, tagliati, montati.
I media ,tradizionali o digitali , non raccontano “la verità”, ma costruiscono narrazioni. Un bombardamento continuo di punti di vista, che troppo spesso si presentano come verità assolute. Il rischio è quello di perdere la capacità critica e accettare passivamente ciò che ci viene offerto, dimenticando che anche la fotocamera ha un angolo di ripresa, una direzione, un intento.
La nostra percezione della realtà non è universale: cambia con la cultura, con l’educazione, con il contesto. Un fatto osservato da un europeo può essere interpretato diversamente da un asiatico, un adolescente può vederlo in modo diverso da un anziano, un progressista da un conservatore. Questo non significa che “tutto è relativo”, ma che la verità ,se esiste , va cercata con pazienza, metodo e dialogo.
In questo senso, la frase di Marco Aurelio diventa un invito alla prudenza epistemica, alla consapevolezza dei limiti della nostra conoscenza. È anche un richiamo all’umiltà: non possediamo la verità, al massimo possiamo avvicinarci ad essa.
In un mondo in cui la verità sembra sfuggire sotto il peso di opinioni urlate e prospettive distorte, il pensiero di Marco Aurelio ci offre un faro di lucidità. Ci ricorda che il nostro primo dovere non è credere, ma capire. Non reagire, ma riflettere. Non giudicare subito, ma sospendere il giudizio fino a che i fatti non parlano più forte delle parole.
Perché oggi più che mai, discernere ciò che è reale da ciò che sembra tale è un atto rivoluzionario.