

L’Università di Torino ha recentemente deciso di revocare una conferenza prevista sul conflitto tra Russia e Ucraina, dopo che nel programma è emersa la proiezione di un video prodotto da Russia Today (RT), emittente finanziata dal governo russo e più volte accusata di diffondere propaganda. La decisione dell’ateneo ha riacceso il dibattito su libertà accademica, pluralismo dell’informazione e responsabilità scientifica.
La conferenza, organizzata da alcuni docenti e aperta al pubblico, avrebbe dovuto ospitare una discussione sul conflitto in Ucraina, ma la presenza nel programma di un contenuto audiovisivo prodotto da RT ha sollevato preoccupazioni. In una nota ufficiale, l’Università ha spiegato che “non sono emerse garanzie sufficienti di un confronto critico e di rigore scientifico nell’impostazione dell’iniziativa”.
Il rettorato ha ribadito che la libertà accademica è un principio fondamentale, ma che essa deve essere esercitata nel rispetto dei criteri di qualità, pluralismo e metodo scientifico che caratterizzano il dibattito universitario. “La libertà di espressione non equivale alla libertà di propagare informazioni non verificate o unilaterali senza contraddittorio”, ha specificato l’Ateneo.
La decisione ha diviso l’opinione pubblica accademica. Alcuni studenti e professori hanno sostenuto la scelta dell’Università, ritenendo pericolosa la diffusione di contenuti considerati propagandistici senza un’adeguata contestualizzazione. Altri, invece, hanno parlato di un atto di censura, sostenendo che anche le narrazioni più controverse dovrebbero poter essere discusse in ambito universitario, proprio in nome del confronto libero e critico.
La vicenda solleva interrogativi importanti: fino a che punto può spingersi la libertà accademica? È possibile parlare di pluralismo informativo se una voce viene esclusa preventivamente? O è invece doveroso porre dei limiti quando il rischio è quello di dare spazio a narrazioni senza fondamento o marcatamente unilaterali?
L’Università, in questo caso, sembra aver voluto marcare una linea netta: lo spazio per il dibattito resta aperto, ma dentro un perimetro fatto di metodo, verifica e apertura al confronto. Non basta presentare un punto di vista “alternativo”: serve che sia supportato da analisi, dati e la possibilità di essere messo in discussione.
La scelta dell’Università di Torino, pur controversa, appare in linea con un’esigenza sempre più urgente nel contesto attuale: quella di distinguere il libero pensiero dalla manipolazione, la pluralità dall’equivalenza tra verità e propaganda. Non si tratta di censura, ma di tutela del contesto scientifico: in un’università non tutto può avere lo stesso peso.
Detto questo, l’università dovrebbe forse trovare modi più efficaci per garantire che anche le posizioni più scomode vengano discusse in modo rigoroso e trasparente, senza cadere nell’autocensura né nel relativismo. Perché la libertà accademica, per rimanere viva, ha bisogno di paletti — ma anche di coraggio.