Il 2 novembre e la teoria dei calzini spaiati

La vita, a ben vedere, somiglia a un gigantesco cesto della biancheria.

Un vortice di eventi, persone e oggetti che, inevitabilmente, scompaiono. Ma è stata una riflessione domestica, quasi banale, a illuminare un concetto profondo e toccante, specialmente in questi giorni che precedono l’1 e il 2 novembre, in cui il pensiero si volge ai nostri cari defunti.

Mentre piegavo i panni, cullata da una vecchia canzone degli Stadio, mi sono ritrovata a fissare l’enigma universale della lavatrice: perché si perdono solo i calzini?

Non è una questione di dimensioni; canotte per neonati e piccoli indumenti circolano copiosamente. Eppure, solo i calzini svaniscono nel “triangolo delle Bermuda” di cesto, lavatrice e stendino. La grande verità, però, non è la loro fragilità, ma la loro natura di coppia: sono due.

Se scompare una canotta o una mutanda, l’assenza passa inosservata. Non c’è nulla a reclamarne il ritorno. Ma la sparizione di un calzino è immediatamente evidente, perché c’è l’altro a testimoniare la perdita.

“C’è l’altro calzino che rende necessario aspettare del tempo affinché il calzino scomparso, salti fuori. Perché se il calzino scomparso non dovesse riapparire perde di senso anche l’altro.”

Ed è qui che la riflessione si fa universale, proiettandosi dal cassetto alla vita. La nostra esistenza, forse, non deve puntare a essere un grande oggetto vistoso, come un maglione costoso o un paio di jeans di marca, destinati magari a finire dimenticati da soli in fondo a un cassetto.

Si può essere, nella vita, anche un piccolo e insignificante calzino. La nostra vera importanza non risiede nella nostra grandezza intrinseca, ma in un unico, cruciale elemento:
C’è qualcuno pronto a ricordare che tu ci sei.

Qualcuno disposto a vivere nel “purgatorio del cesto dei calzini spaiati” – metafora della fatica del lutto e dell’attesa – tenendo vivo il ricordo, incurante di tutti gli altri “calzini” che gli gravitano attorno. C’è un solo legame che dà senso alla sua esistenza.

Questo legame non è circoscritto solo all’amore romantico. Può essere l’amore di un genitore, di un fratello, di un amico: qualcuno che sta sempre lì a ricordarci che ci siamo stati, che ci aspetteranno sempre, anche se il nostro “scomparire” è definitivo. L’amore di chi resta dà senso non solo alla propria esistenza, ma anche a quella di chi se n’è andato.

In fondo, nessuno si salva da solo dalla “centrifuga della vita”. E nella tenacia di tutti quei calzini spaiati che aspettano, stipati in quel cestino, c’è una commovente manifestazione di amore: l’amore dei calzini dispari.

È per questo che la vicenda del calzino spaiato risuona così forte mentre ci avviciniamo alla Commemorazione dei Defunti. Il primo e il due di novembre non sono solo giorni di lutto, ma l’appuntamento annuale in cui l’esistenza di chi resta acquisisce un senso più profondo proprio nel ricordare la mancanza.

Andare al cimitero, accendere un lume, raccontare un aneddoto: sono tutti gesti del “calzino rimasto” che non getta la spugna, che aspetta tenacemente, che si rifiuta di buttare via la sua metà anche se l’attesa è eterna. Quel calzino che rende la nostra assenza significativa, impedendole di diventare una mera sparizione, come quella di una canotta qualsiasi.

Il ricordo dei nostri defunti è la più grande dichiarazione d’amore di un “calzino spaiato” che, in onore dell’altro, continua a dare un valore inestimabile alla sua solitudine.

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