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ACCADDE DOMANI – Pier Paolo Pasolini

Il 5 marzo 2022 Pier Paolo Pasolini avrebbe compiuto cento anni Non stiamo per parlare semplicemente di un intellettuale italiano,...

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Il 5 marzo 2022 Pier Paolo Pasolini avrebbe compiuto cento anni

Non stiamo per parlare semplicemente di un intellettuale italiano, ma dell’uomo di cultura più acclamato, criticato e discusso del ventesimo secolo, di una figura che è impossibile circoscrivere in un solo aggettivo. Con lui ci troviamo di fronte ad un poeta, un narratore, un regista cinematografico, un attore, un drammaturgo, ma anche un critico, un saggista, un pittore, un giornalista, un vero rivoluzionario, un intellettuale come pochi, uno studioso di competenze e preparazione estrema, sempre proteso a vivere tra la gente, armato di una sensibilità senza pari. Un uomo libero dalle convenzioni, dai retaggi economici, un intellettuale scomodo, portavoce di diversità, ricco come nessun altro di sintonia comunicativa, un compagno di strada, una figura carismatica ma anche al tempo stesso un bersaglio primario, un oggetto di devozione ma anche di odio violento che si colloca fuori e contro ogni schieramento.
Pier Paolo Pasolini entra, come uno dei poeti più autenticamente colti e formalmente attrezzati del Novecento, in un presente fortemente contaminato da ideali fascisti e democristiani, immolando alla storia la sua stessa vita, vissuta come un’opera d’arte, e le sue opere d’arte, dense di vita vissuta, in una forma di dialogo costantemente provocatorio con la sua epoca.

La gioventù 

Nasce e compie gli studi liceali e universitari a Bologna, dopo un’infanzia trascorsa in varie cittadine venete ed emiliane. Il legame fortissimo con la madre, friulana di origini contadine, oltre agli studi in filologia romanza, lo spingono a cercare nella musicalità del dialetto materno una forma espressiva poetica delicata e fantastica. Nascono così le Poesie a Casarsa, raccolte in versi ne La meglio gioventù (1954) pubblicata in un volumetto dallo stesso Pasolini a sue spese e che suscita l’interesse di Gianfranco Contini. A Carsara organizza “Il Stroligut”, un periodico di letteratura in dialetto friulano in difesa delle lingue regionali come forme di conoscenza storica. Nel 1947 si iscrive al partito comunista e inizia un’attività di militante in parte riflessa nel romanzo Il sogno di una cosa, rievocazione delle lotte dei contadini friulani o nei versi barocchi de L’usignolo della chiesa cattolica. Nel frattempo, insegna con grande passione in una scuola media ma nel settembre del 1949, in seguito ad un episodio legato alla sua omosessualità, viene denunciato, espulso dal partito comunista e sospeso dalla scuola. Molti si scagliano contro di lui, additandolo al disprezzo dell’ambiente friulano, tanto che la dolorosa ferita provocata da questi eventi non si rimarginerà mai nella vita di Pasolini.

Il trasferimento a Roma

Si trasferisce a Roma con sua madre e, affascinato dalla vitalità del cosiddetto sottoproletariato romano, ne reinventa il linguaggio in una fusione tra gergo e dialetto nei due romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta. L’originalità di queste opere mette Pasolini al centro del mondo intellettuale, ma gli valgono al contempo un processo per pornografia, e che codificano così la figura dello scrittore in una sorta di ruolo di provocatore. Negli anni tra il ’57 e il ’61 scrive undici sceneggiature cinematografiche e narra inoltre la dialettica tra passione regressiva e ragione rivoluzionaria nei versi Le ceneri di Gramsci con le quali vince il Premio Viareggio nel 1957. Quest’opera è subito vista come uno dei più originali risultati poetici del decennio. Mentre continua la produzione poetica, gli anni Sessanta lo vedono impegnato in primo luogo nel cinema, che prende avvio nel ’61 con Accattone e in pochi anni dà vita ad un ampio numero di film che diffondono la sua fama a livello internazionale. Nel ’61 iniziano, con Moravia, i suoi viaggi in India, in Africa e nei paesi islamici, ma nello stesso anno è di nuovo vittima di un’incredibile campagna diffamatoria nella quale viene addirittura accusato di rapina a mano armata.
Stringe amicizia con la cantante Maria Callas, che è protagonista nel 1969 del film Medea ed entra a far parte della direzione della rivista Nuovi Argomenti, con Carocci e Moravia.
Nel ’68 manifesta un atteggiamento polemico nei confronti dei movimenti studenteschi vedendo negli studenti e nel loro modo di agire una nuova piccola borghesia e in una poesia intitolata Il Pc ai giovani!!, giunge a difendere i poliziotti di origine proletaria a discapito di studenti, figli di papà borghesi e piccolo-borghesi.

L’attività giornalistica 

In particolare, la collaborazione con riviste e giornali tra cui la rubrica Il caos nel settimanale Tempo, o Il Corriere della sera gli offrono la possibilità di interventi provocatori nei quali rende esplicite le sue posizioni controcorrente sui maggiori problemi dell’attualità politica. Molti suoi scritti quali le Lettere, appariranno postumi e testimonieranno la vitalità culturale di Pasolini negli scambi epistolari con le sue amicizie intellettuali.

La morte

Dopo aver portato a termine lo scandalosissimo film Salò e le centoventi giornate di Sodoma, sempre più ossessionato dalla crudeltà dell’essere umano, viene assassinato brutalmente nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975, presso il polveroso idroscalo di Ostia.

Ecce homo

Buona parte dell’opera biografica di Pasolini è immersa nella storia, nella cronaca o comunque le sottintende.
Perfino i processi subiti – 33 per l’esattezza, dai quali è sempre risultato assolto -, la sua morte violenta, le cronache che ne sono seguite, sono vicende ricche di implicazioni problematiche e politiche, tutt’ora aperte ad oscuri sospetti, tanto da apparire simili ai diversi episodi di ambiguo stravolgimento di quel mito dell’innocenza sottoproletaria tipico di molti scenari inquietanti e tetri presenti nei suoi libri e nei suoi film.

Bisogna esporsi (questo insegna
Il povero Cristo inchiodato?),
la chiarezza del cuore è degna
di ogni scherno, di ogni peccato
di ogni più nuda passione…

[…]

Noi staremo offerti sulla croce,
alla gogna, tra le pupille limpide di gioia feroce,
scoprendo all’ironia le stille
del sangue dal petto ai ginocchi,
miti, ridicoli, tremando
d’intelletto e passione nel gioco
del cuore arso dal fuoco,
per testimoniare lo scandalo

(Crocifissione, Il sogno di una cosa, Milano 1962)

Quasi cercata e attesa, oltre che annunciata da tanti interventi nel corso della sua vita, la sua tragica morte è rimasta nella coscienza comune come un atto sacrificale, come un martirio di una vita ossessivamente e marcatamente provocatoria contro il presente. Un evento che ha lasciato un segno e che non può essere trascurato, che ha fatto di lui un martire, un “santo laico”, un testimone di valori puri e assoluti, opposti all’ipocrisia del suo contesto culturale. Le sue posizioni politiche e intellettuali sono state assorbite e ci si è appropriati della sua figura per farne un modello positivo di purezza esemplare, nell’esaltazione delle tante figure che rappresenta e che ha rappresentato come contestatore, come portavoce di valori di antica tradizione, come artista geniale, autodistruttivo, viscerale e spontaneo, come profeta di marginalità, irriducibile rivoluzionario, come un uomo che ha voluto giocare tutto sé stesso, la sua vitalità, la sua cultura, la sua profonda intelligenza, nella partecipazione al presente.
Nella seconda forma de’ La meglio gioventù del 1974, all’interno delle Danze della suite furlana, Pasolini cita San Giovanni, prima di lui citato anche da Dostoevskij, sostenendo che un chicco di grano, solo sacrificando la propria vita, potrà dare molto frutto. Soltanto la morte potrà, dunque, restituirgli la vita.

se il chicco di grano, caduto
in terra, non morirà, rimarrà solo,
ma se morirà darà molto frutto
(San Giovanni, Vangelo 12.24 – Citato da Dostoevskij)

IL DÍ DA LA ME MUÀRT

Ta ‘na sitàt, Triès o Udin,
ju par un viàl di tejs,
di vierta, quan’ch’a múdin
il colòur li fuejs.
un al à vivùt,
cu’ la fuàrsa di un zòvin omp
tal còur dal mond,
e al ghi deva, a chej pucs
òmis ch’al cognosseva, dut

Po’, par amòur po’di chej ch’a erin zuviníns
cu’l suf tal sorneli
coma lui fin a puc prin
che tal so ciaf li stelis
a cambiàssin la so lus –
as vorès volùt dà la so vita par dut
il mond scunussút,
lui, scunussút, píssul sant,
gragnèl pierdút tal ciamp.

E invessi al à scrit
poesia di santitàt
crodínt che cussí
il còur al doventàs pí grand.
I dis a son passàs
a un lavoru ch’al à ruvinàt
la santitàt dal so còur:
il gragnèl a no’l è muàrt
e lui al è restàt bessòul.

(dalla seconda forma di La meglio gioventù, Einaudi, Torino, 1974. – In La nuova gioventù, Poesie friulane, 1941 – 1974)

IL GIORNO DELLA MIA MORTE

In una città, Trieste o Udine,
per un viale di tigli,
quando cambiano colore
le foglie.
uno è vissuto,
con la forza di un giovane uomo,
nel cuore del mondo,
e dava,
a quei pochi uomini che conosceva,
tutto.

Poi, per amore di quelli che erano ragazzetti,
come lui,
– fino a poco prima
che sul suo capo le stelle
cambiassero la loro luce –
avrebbe voluto dar la sua vita
per tutto il mondo sconosciuto
– lui, sconosciuto, piccolo santo,
granello perduto nel campo.

E invece ha scritto poesie di santità,
credendo che così
il cuore gli si ingrandisse.
I giorni sono passati
a un lavoro
che ha rovinato la santità
del suo cuore:
il granello non è morto,
e lui è restato solo.

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