Corte Penale Internazionale: dopo vent’anni un primo passo avanti (e due indietro) contro crimini di guerra e genocidio

In poco più di tre mesi, complice soprattutto l’aggravarsi della crisi diplomatica seguita all’invasione russa in Ucraina, la commissione ministeriale istituita dalla guardasigilli ha presentato la sua proposta per un “codice dei crimini internazionali” che agevolerà l’adempimento di quegli obblighi che l’Italia ha assunto ormai da oltre vent’anni con la ratifica del trattato di Roma e l’istituzione della Corte Penale Internazionale

Intanto Svezia e Finlandia, col beneplacito della Nato e dell’Unione Europea, sacrificano le organizzazioni curde di protezione del popolo, che avevano fronteggiato l’avanzata dell’ISIS in Siria, sull’altare della propria sicurezza nazionale fondata sulla guerra

Con il decreto ministeriale del 22 marzo 2022 la guardasigilli Marta Cartabia ha nominato una commissione ministeriale per dare piena attuazione agli obblighi internazionali assunti in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite nel luglio del 1998, a cui seguì la ratifica del trattato di Roma con cui venne istituita la Corte Penale Internazionale. L’obiettivo del lavoro della commissione è stato di elaborare un codice organico di crimini di guerra da introdurre nel nostro ordinamento penale, in conformità con quanto stabilito dal diritto internazionale prodotto in questi anni di attività della Corte. Il 21 giugno scorso la commissione ha presentato una proposta di codice di crimini internazionali che adesso dovrà passare al vaglio delle camere per l’approvazione definitiva da parte del parlamento.

Rinforzare il diritto internazionale in funzione antiputiniana

La Corte, con sede all’Aja, è un organo permanente ed indipendente, collegato alle Nazioni Unite e dotato di una giurisdizione internazionale, che opera nel territorio di ogni Stato membro e – in caso di specifici accordi – di ogni altro Stato, sulla base del principio di complementarietà e nel rispetto delle giurisdizioni nazionali penali. I principali crimini che ricadono sotto la giurisdizione della Corte sono il genocidio, la tratta di donne e di minori, la sparizione e la deportazione forzata di persone, la persecuzione per motivi razziali, religiosi, politici, generalmente perpetrati su vasta scala. Molti di questi crimini sono stati definiti dalla convenzione di Ginevra e successivamente recepiti nei codici penali nazionali ad essa armonizzati. L’Italia, con questa iniziativa promossa dalla ministra Cartabia, sta recuperando un ritardo giuridico importante sul piano dei rapporti diplomatici, e non è certo un caso che lo faccia tanto celermente proprio in concomitanza con il peggiorare della crisi russo ucraina. L’obiettivo è di rafforzare gli strumenti del diritto internazionale in vista dell’apertura di un “fronte giuridico” nella guerra contro Putin, in modo da agevolare il lavoro d’indagine della Corte stessa sul territorio nazionale.

Due pesi due misure?

Ma se da un lato si lavora alacremente per menare il Putin per l’Aja, con l’Italia che fa la parte del figliol prodigo e dopo vent’anni si affretta a legiferare per agevolare il riconoscimento dei crimini di guerra russi in ucraina, la stessa premura non sembra essere rivolta dalla comunità internazionale e da quella europea in particolare verso altri autocrati che, al pari di Putin, da oltre vent’ anni esercitano in modo spregiudicato il loro potere militare su ogni minoranza che intralci il proprio progetto egemonico. È il caso, per esempio, del presidente turco Erdogan.

Se è vero che il conflitto russo ucraino e la conseguente crisi diplomatica sta coinvolgendo le maggiori potenze mondiali costringendole a rivedere gli equilibri interni alle più importanti alleanze militari, economiche e giuridiche globali, allora questa guerra, più che una caduta imprevista della diplomazia, sembra configurarsi come una ghiotta occasione di riposizionamento delle potenze imperialiste. E l’ultimo atto (in senso cronologico) di questo processo, anacronistico per modalità ed obiettivi, si è compiuto il 28 giugno scorso con il ritiro del veto turco all’ ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia e la sigla di un memorandum d’intesa trilaterale tra questi paesi. Il “dittatore” Erdogan, come lo aveva apostrofato perfino il Presidente del consiglio italiano solo pochi mesi fa, aveva posto il suo veto all’ ingresso dei due paesi nell’ alleanza atlantica fintanto che questi non avessero riconosciuto tutte le organizzazioni curde come terroriste e non avessero preso in considerazione l’estradizione di alcuni dirigenti politici del PKK e dell’ YPG (nonché della parlamentare svedese di origini curde Amineh Kakabaveh). Con questa mossa Erdogan ha ribadito la sua strategia preferita: quella di tenere i piedi in due staffe. Prima ha strizzato l’occhio a Putin rivelando ancora una volta la debolezza europea e atlantica nella difesa dei tanto sbandierati valori democratici, poi ha risolto l’empasse concedendo alla Nato un ulteriore allargamento ad est. Alla fine della tenzone però, Putin vede la Nato avvicinarsi ancora di più, l’Europa inasprisce le tensioni ai suoi confini e gli Stati Uniti perdono ulteriormente peso sullo scacchiere mediorientale dove Erdogan e Putin hanno ancora molti interessi comuni. L’ unico che ne esce veramente vincitore è proprio il Presidente turco. Erdogan infatti ha ottenuto mano libera nella sua lotta spietata al popolo curdo che sta decimando ormai da anni impunemente. Il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, si è detto addirittura soddisfatto dichiarando: “Accolgo con favore la firma del memorandum trilaterale tra Finlandia, Svezia e Turchia che apre la strada all’ adesione alla Nato per la Finlandia e la Svezia. Una Nato unita manterrà i nostri cittadini al sicuro e faciliterà una maggiore cooperazione con l’Ue”.

L’entusiastico Presidente del consiglio europeo potrebbe spiegare però a noi comuni mortali, cos’ha da guadare l’Europa, in termini di sicurezza, benessere e libertà da una Russia sempre più asiatica e sempre meno europea e da una Nato messa sotto scacco da una Turchia più vicina agli ideali del nemico che a quelli dei suoi stessi alleati.

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