La Nuova Zelanda si prepara a quello che potrebbe essere un passo rivoluzionario nella sua storia: il primo ministro Jacinda Ardner ha infatti annunciato che il Paese dovrà decidere, nell’arco di qualche mese, se abbassare da 18 a 16 anni l’età minima per votare. Questa decisione arriverà dopo una sentenza della Corte Suprema, secondo la quale negare il voto a persone di 16 e 17 anni rappresenta un atto di discriminazione. Un caso sollevato circa due anni fa e supportato dalla campagna “Make it 16”, che promuove l’abbassamento dell’età minima. La 18enne Sanat Sing, co-direttrice di questa iniziativa, si è detta entusiasta di questa decisione, spiegando il suo impegno col fatto che diversi problemi globali, come la pandemia, lo stato della democrazia e il cambiamento climatico, avranno effetti concreti sulle vite dei giovani. Motivo per cui “è importante che tutti possano dire la loro nei processi decisionali, in modo da costruire un futuro migliore”. Jacinda Ardern si è detta favorevole alla proposta, che però dovrà essere presentata e discussa in Parlamento, per poi essere revisionata da una commissione ad hoc. Per approvare un cambiamento del genere, c’è bisogno di una maggioranza importante (serve un supporto parlamentare del 75%) e persino chi ha proposto questa modifica è conscio che al momento non ci sono i numeri necessari. Per questo ci sarà ancora una lunga campagna per convincere le istituzioni in vista della decisione, prevista (secondo quanto rivelato dal primo ministro) nei prossimi mesi. C’è infatti dibattito fra le forze politiche a riguardo, con i partiti dell’opposizione conservatrice che si dicono contrari (“Serve avere un limite preciso e crediamo che questo limite di 18 anni sia adeguato”, ha detto il leader dell’opposizione, Christopher Luxon), ma di sicuro questo sarà un tema fortemente dibattuto nelle prossime settimane in Nuova Zelanda, dove il limite è stato abbassato a 18 anni nel 1974.