L’ Iran ha giustiziato un uomo, Mohsen Shekari, condannato a morte essere rimasto coinvolto nelle proteste che hanno infiammato il Paese in queste settimane. Si tratterebbe, quindi, della prima pena di morte eseguita per quanto sta accadendo nel Paese, con manifestazioni e scontri con le forze di sicurezza. Molti altri detenuti rischiano la pena capitale per il loro coinvolgimento nelle proteste, scoppiate inizialmente dopo la morte di una ragazza Mahsa Amini (avvenuta dopo un pestaggio da parte di agenti della polizia morale, che l’avevano fermata per il modo irrituale con cui indossava il velo islamico, obbligatorio in Iran) e proseguite fino a diventare una delle più serie sfide alla teocrazia iraniana dalla rivoluzione islamica del 1979. Secondo gli attivisti per la difesa dei diritti umani, nelle carceri iraniane ci sarebbe una dozzina di condannati a morte, con l’accusa di avere partecipato alle proteste. Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore del gruppo di attivisti Iran Human Rights, con sede a Oslo, ha chiesto una mobilitazione internazionale per evitare che l’esecuzione di Shekari sia la prima di una lunga serie. A dare notizia dell’esecuzione è stata l’agenzia di stampa iraniana Mizan, secondo la quale Shekari (arrestato il 25 settembre) è stato ritenuto colpevole dell’accusa di avere attuato, a Teheran, un blocco stradale e avere attaccato un membro delle forze di sicurezza, i Basij, con un machete. Ad emettere la condanna a morte, il 20 novembre, è stato il tribunale rivoluzionario di Teheran, che di solito tiene le sue udienze a a porte chiuse, con processi che sono stati criticati a livello internazionale perché agli imputati viene negato il diritto di scegliere i propri avvocati o addirittura di vedere le prove contro di loro. Secondo il tribunale rivoluzionario, Shekari avrebbe confessato. La sua condanna è stata confermata dalla Corte suprema iraniana.


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