Intervista alla Dottoressa Nadia Massimiano
Alzi una mano chi nel corso della propria esistenza non si è mai sentito incapace, inadeguato o svalutato principalmente da sé stesso di fronte ad un traguardo o successo.
È come se una “vocina interiore” sia sempre lì pronta a svalutare il nostro operato e a ricordarci che il merito non è il nostro ma di condizioni fortuite, come se noi non meritassimo di sentirci appagati o felici.
Se ciò accade spesso si può scoprire di essere affetti da “sindrome dell’impostore”. Non è altro che un disturbo di natura psicologica che spinge il soggetto ad essere ipercritico e ipergiudicante nei confronti di sé stesso.
Alla base di questa sindrome vi è una scarsa autostima e una valutazione di sé stessi, di ciò che si è o si fa distorta. Questo disturbo a lungo andare può compromettere la propria vita lavorativa e influenzare il proprio stato di benessere psicologico.
Per fare chiarezza sulla sindrome dell’impostore e capire come riconoscerla ed affrontarla al meglio, abbiamo intervistato la Dottoressa Nadia Massimiano, Psicoterapeuta a orientamento sistemico-relazionale e Manager Clinico di Unobravo.
Dottoressa Massimiano che cos’è la sindrome dell’impostore?
Si tratta di una modalità di pensiero per cui una persona percepisce tutti i risultati che ottiene, gli obiettivi raggiunti, le conquiste fatte come dovute alla fortuna, oppure a una sopravvalutazione da parte degli altri che le hanno riconosciuto un qualche merito. Cioè, la persona non concepisce di aver potuto avere un valore o una capacità personale nell’aver conquistato qualcosa e, addirittura lo ritiene ingiusto, non meritato, non se ne sente degna. Allo stesso tempo, la persona con sindrome dell’impostore vive costantemente nel timore che, da un momento all’altro, gli altri si rendano conto che effettivamente non è meritevole, e capiscano di aver fatto un errore, vedendola per ciò che è, inetta, incapace e sopravvalutata, appunto un impostore. Ovviamente questa sensazione, la paura di “essere scoperti”, è legata all’angoscia di perdita di ciò che si ha e dei propri punti di riferimento.
Chi sono le persone più a rischio?
Alla base della sindrome c’è un’autostima poco o mal sviluppata, cioè il soggetto non è in grado di riconoscere quegli aspetti funzionali del sé. Ciò significa che la persona non riesce a fare una valutazione realistica di sé stessa, dei propri punti di forza e delle proprie fragilità. Avere una buona autostima non significa percepirsi come migliori degli altri e invincibili, al contrario significa riconoscersi per ciò che si è, vedersi nelle cose in cui si riesce meglio e non mortificarsi per quelle in cui, invece, si è meno brillanti, ma in questo bilancio si è sufficientemente in grado di identificare le proprie competenze. Quando non si riesce a fare questo si incorre nella possibilità di pensare di avere sempre fatto errori, di non essere mai abbastanza preparati o competenti, di non valere quanto gli altri.
A soffrirne sono più le donne o gli uomini?
Le donne sembrerebbero essere più predisposte alla messa in dubbio di sé stesse, alla sensazione di non essere abbastanza valide o tanto quanto gli altri, a mettersi in discussione soprattutto nel paragonarsi con qualcuno. Molte più donne che uomini sembrerebbero mettere in dubbio ogni azione commessa, ripensare ricorsivamente a possibili errori, attenzionare dettagli meticolosamente e sforzarsi di essere sempre quanto più preparate possibile, pur non riconoscendoselo mai realmente.
Quanto e in che misura la sindrome dell’impostore” può influenzare la vita professionale di un soggetto?
Moltissimo e tante volte facendo delle rinunce enormi. Questo accade sia perché le persone che percepiscono sé stesse come impostori non si sentono all’altezza di potersi proporre per avanzare nella loro carriera, pur avendone magari tutti i requisiti, sia perché, se invece lo fanno in quanto valutate e promosse da qualcun altro, vivono il loro ruolo e le loro mansioni con grande fatica, non riuscendo a cogliere quell’opportunità come una realizzazione personale e come un successo. Come dicevamo, il timore di essere scoperti come incapaci e di essere giudicati può condurre a delle vere e proprie manifestazioni ansioso-depressive che influiscono significativamente sul benessere del lavoratore.
E quella sentimentale?
Il senso di inadeguatezza, il paragone peggiorativo vissuto con gli altri, la sensazione di non meritare l’amore e l’attenzione del partner, di non essere all’altezza delle sue aspettative, condizionano la vita di coppia. La persona potrebbe essere alla continua ricerca di attenzioni e avere dei comportamenti che enfatizzano il bisogno di essere amati o che manifestano un eccessivo senso di inferiorità. Nel caso della relazione di coppia, però, questo può portare a un allontanamento del partner, il quale si sente in dovere di rassicurare costantemente l’altro o di non sentirsi compreso nei propri sentimenti. Di fatto, purtroppo, questo funge da conferma per la persona rispetto alla propria inadeguatezza, finendo per rinforzare queste credenze su di sé in un circolo vizioso.
Come uscirne?
Più della metà delle persone, almeno una volta nella vita, ha sperimentato la sensazione di aver raggiunto degli obiettivi immeritatamente o di essere stato sopravvalutato rispetto a quanto avrebbe dovuto. Se la cosa accade sporadicamente ha anche un senso perché è vero che a volte può capitare, il problema è se la cosa si verifica spesso, e soprattutto se attiva un senso di colpa che crea malessere e disagio, se la persona inizia a stare male in relazione all’obiettivo conquistato, anziché provare gioia. La prima cosa è riconoscere di stare provando qualcosa di valore contrario a quanto invece si dovrebbe, e mettere in dubbio la propria capacità di valutarsi sempre in maniera impeccabile, anziché quella degli altri, concepire la possibilità che a volte siano gli altri a vederci in maniera più adeguata rispetto a quanto non facciamo noi.
Come aiutare chi ne soffre?
Purtroppo a poco valgono le dichiarazioni di stima o d’amore, chi soffre della sindrome dell’impostore, anche di fronte a evidenze reali, la maggior parte delle volte non riesce a credere a quanto le viene detto, è sicura di non valere abbastanza e che, più o meno presto, questo sarà evidente a tutti. Qualora ci rendessimo conto che la persona vive una situazione di malessere conclamato relativamente a questi pensieri, la cosa più adeguata è consigliarle di rivolgersi a un professionista.
Quando e come è necessario un supporto psicologico?
Chi sperimenta continuamente questi pensieri sviluppa ad un certo punto un malessere che si manifesta con sintomi ansioso- depressivi. Sarebbe bene chiedere aiuto quando ancora i sintomi non siano diventati invalidanti, ma spesso accade proprio questo, che la persona non riesca più a svolgere normalmente le attività della sua quotidianità, potrebbe sviluppare sintomi ansiosi tali da non riuscire ad andare a lavoro, oppure potrebbe andare in burnout. A questo punto la psicoterapia è indispensabile, ma sarebbe bene rivolgersi ad uno psicologo già quando si percepisce di non riuscire a godere dei passi fatti, delle conquiste raggiunte e degli obiettivi realizzati.