La guerra è un fenomeno complesso che spesso sfugge a interpretazioni univoche. Quando si tratta di conflitti in corso come quello tra Russia e Ucraina, o tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, le narrazioni belliche si intrecciano con visioni politiche, culturali e ideologiche che complicano la costruzione di un racconto eticamente orientato.
La difficoltà risiede non solo nell’estrema polarizzazione che caratterizza questi conflitti, ma anche nelle forze esterne che manipolano e orientano il discorso pubblico, influenzando l’opinione internazionale e il modo in cui vengono raccontate le vicende sul campo.
In Ucraina, il conflitto è dipinto da molti come una lotta di resistenza contro un’aggressione esterna da parte della Russia. Questo racconto, ampiamente diffuso in Occidente, si inserisce in un contesto geopolitico che vede l’Ucraina come una nazione che difende la propria sovranità e i propri confini contro un aggressore. Dall’altro lato, la Russia giustifica le proprie azioni come una difesa contro l’espansione dell’Occidente e una protezione dei diritti dei russofoni nelle regioni separatiste, contribuendo a una visione che dipinge il conflitto come una forma di resistenza contro un’influenza straniera.
Questa polarizzazione spinge a semplificare le complesse dinamiche storiche e politiche che hanno portato alla guerra, rischiando di ridurre il conflitto a una dicotomia manichea di “buoni contro cattivi”. Tuttavia, una narrazione etica dovrebbe andare oltre tale semplificazione e cercare di comprendere le radici profonde della crisi, esplorando le dinamiche geopolitiche, le aspirazioni delle popolazioni coinvolte e le influenze esterne che, volenti o nolenti, giocano un ruolo determinante nell’escalation. La guerra in Ucraina, con le sue tragiche vittime civili, è una storia di sofferenza collettiva, ma anche di potere, di identità e di geopolitica.
La Striscia di Gaza, invece, è teatro di un conflitto che affonda le sue radici in una lunga storia di occupazione, resistenza, terrorismo e diritti umani. Il conflitto tra Israele e Hamas è spesso narrato attraverso il prisma delle ideologie politiche e religiose, con Israele che viene presentato come il difensore della propria sicurezza, mentre Hamas viene descritto da alcune fonti come un gruppo di resistenza che difende i diritti del popolo palestinese, mentre altre lo etichettano come un’organizzazione terroristica responsabile di attacchi indiscriminati contro i civili israeliani.
La difficoltà di una narrazione eticamente orientata qui è ancora più marcata, poiché entrambe le parti coinvolte hanno compiuto atti che sollevano gravi preoccupazioni in termini di diritti umani. Mentre Israele difende la propria legittima sicurezza, spesso le sue azioni vengono criticate per la brutalità nei confronti dei civili palestinesi, mentre Hamas, pur godendo del sostegno di alcuni settori della popolazione palestinese, è accusata di utilizzare i civili come scudi umani e di perpetuare una strategia che porta solo a ulteriore violenza.
La narrazione etica in questo caso dovrebbe sforzarsi di non ridursi a una parte o all’altra, ma cercare di dare voce alle sofferenze di entrambe le popolazioni civili coinvolte, senza trascurare le violazioni di diritti umani da parte di entrambi i contendenti. Il conflitto israelo-palestinese non può essere ridotto alla dicotomia tra vittima e carnefice, ma deve essere raccontato con una comprensione profonda delle sue radici storiche, politiche e sociali, evitando la retorica della “giustificazione della violenza” da entrambe le parti
Una narrazione eticamente orientata deve affrontare anche la difficoltà di superare il dualismo tradizionale di “buoni contro cattivi”, tentando di offrire una visione più sfumata e inclusiva. Tuttavia, questo non è semplice. La violenza che si verifica in entrambi i conflitti è spesso perpetrata contro civili innocenti, e la propaganda delle parti coinvolte distorce la percezione del pubblico internazionale, riducendo la complessità dei fatti a mere affermazioni politiche.
Il ruolo dei media e delle informazioni distorte o censurate gioca un ruolo fondamentale in questa distorsione. Gli eventi sul campo vengono spesso interpretati attraverso il filtro di opinioni ideologiche, senza un impegno a restituire una rappresentazione veritiera della sofferenza delle persone coinvolte. La mancanza di una narrazione condivisa e imparziale genera fratture nella comprensione internazionale, con l’opinione pubblica divisa su chi sia il “buono” e chi sia il “cattivo” in ogni conflitto.
Una narrazione eticamente orientata dei conflitti in Ucraina e Gaza dovrebbe, quindi, cercare di dare spazio alle molteplici voci dei protagonisti, evitando di cadere nel tranello della semplificazione. Essa deve andare oltre le dichiarazioni di parte e comprendere le complessità storiche, politiche e umane che caratterizzano ogni conflitto. La guerra non è mai una questione di bianco e nero, ma un intricato insieme di responsabilità, sofferenze e azioni che vanno analizzate con profondità e rispetto.
Solo una narrazione che tenga conto delle sfumature e delle molteplici prospettive sarà in grado di restituire una visione etica e umana degli eventi, contribuendo a una maggiore comprensione delle radici dei conflitti e, forse, offrendo una via per la pace.