L’Ucraina come Berlino? Lo spettro della spartizione secondo Kellogg

L’Ucraina come Berlino? Lo spettro della spartizione secondo Kellogg L’Ucraina come Berlino? Lo spettro della spartizione secondo Kellogg

A pronunciarla non è un analista qualunque, ma Keith Kellogg, già consigliere per la sicurezza nazionale sotto l’amministrazione Trump, e oggi figura chiave nei retroscena strategici dell’establishment repubblicano.

Parole che pesano come pietre. Soprattutto perché pronunciate nel bel mezzo di una guerra ancora apertamente in corso, con la linea del fronte che si muove lentamente ma inesorabilmente verso un logoramento senza fine. L’idea di una spartizione dell’Ucraina, che fino a poco tempo fa sembrava un tabù impronunciabile, viene adesso evocata con freddezza geometrica, rievocando il modello della Berlino divisa in zone di influenza dopo la Seconda guerra mondiale.

Kellogg, con il pragmatismo militare di chi ha visto e gestito conflitti, non parla per provocazione. La sua è una visione cinica, ma lucida: il conflitto ucraino, secondo lui, si avvia verso una “soluzione congelata”, non molto diversa da quella coreana o appunto tedesca nel secolo scorso. Non più una vittoria netta di uno dei due contendenti, ma una spartizione de facto, sancita dalla geografia, dalla potenza militare e dai compromessi imposti dal tempo.

Secondo questa ipotesi, l’Ucraina occidentale resterebbe saldamente nel campo euro-atlantico, protetta — o controllata — da Parigi e Londra. L’est del Paese, ormai in gran parte occupato o devastato dall’avanzata russa, verrebbe inglobato in una sfera d’influenza moscovita. E Kiev, cuore pulsante e simbolico della nazione, assumerebbe un ruolo autonomo, ma fragile, quasi “neutrale”, come cuscinetto tra due mondi inconciliabili.

A stretto giro, dalla presidenza ucraina è arrivata una risposta dura: “Nessuna Jalta 2.0 sarà accettata. L’Ucraina non sarà mai oggetto di spartizione tra potenze straniere”. Parole ferme, che però risuonano meno granitiche oggi, dopo oltre due anni di guerra, un esercito stremato e il supporto occidentale che, seppur ancora presente, comincia a mostrare segni di stanchezza politica e logistica.

Mentre l’Europa fatica a trovare una strategia comune, e gli Stati Uniti sono distratti da una campagna elettorale polarizzante, l’idea lanciata da Kellogg potrebbe trovare sostenitori proprio in quegli ambienti politici americani che iniziano a considerare il conflitto ucraino come un “pantano senza uscita”. Un’idea che Mosca, silenziosamente, potrebbe persino accogliere come una mezza vittoria.

Che l’Ucraina possa essere “berlinesizzata” resta, al momento, un’ipotesi teorica. Ma è proprio la sua amara verosimiglianza a renderla inquietante. Perché se davvero si tornerà a logiche di spartizione e zone d’influenza, vorrà dire che l’ordine nato nel 1991 — quello della sovranità nazionale come principio intoccabile — è ufficialmente al tramonto.

E la storia, come spesso accade, non torna mai identica. Ma sa essere spietatamente simile.