L’uscita pubblica di papa Francesco senza la tradizionale veste bianca, immortalata e commentata in tutto il mondo, ha suscitato reazioni contrastanti, ma soprattutto una riflessione profonda su ciò che molti definiscono “secolarizzazione del papato”. Un gesto apparentemente semplice – la rinuncia a un segno esteriore – ha il potere di toccare corde teologiche, simboliche e culturali che attraversano secoli di storia ecclesiastica.
Per comprendere la portata di questo gesto, è necessario ricordare che la Chiesa, per secoli, ha cercato di “nascondere l’uomo sotto il vestito”. Il papa, come ogni figura ecclesiastica, è stato rivestito di simboli: l’abito bianco, la tiara, l’anello del pescatore, l’infallibilità ex cathedra. Non si trattava di una teatralità fine a sé stessa, ma di un’intenzionale messa in scena del sacro, per distogliere lo sguardo dalla fragilità dell’uomo e orientarlo verso Dio. In altre parole, il vestito serviva a far scomparire la persona, per far apparire la presenza divina.
Con Papa Francesco, però, si assiste ad un percorso inverso. Il papa non solo esce senza la veste bianca, ma ha da tempo intrapreso un cammino di spogliazione simbolica: rinuncia a vivere nel palazzo apostolico, predilige un linguaggio semplice, si mostra stanco, malato, umano. In questo senso, il papa si mostra “uomo” prima ancora che “pontefice”. E lo fa volutamente.
È in questo cambio di paradigma che si inserisce la riflessione sulla secolarizzazione del papato. Non si tratta soltanto di una modernizzazione delle forme, ma di una trasformazione della percezione del potere spirituale. Il papa non è più la figura ieratica e distante, ma un uomo tra gli uomini, che dialoga con i non credenti, che si fa carico dei problemi sociali, che si lascia fotografare con la giacca scura o i pantaloni sotto la tonaca.
Questo potrebbe apparire come una perdita di sacralità, e in un certo senso lo è. Ma può essere anche interpretato come un nuovo modo di testimoniare il Vangelo: non dall’alto di un trono, ma nella fragilità dell’uomo comune. Il rischio, però, è che la figura del papa diventi sempre più simile a quella di un leader carismatico, di un opinionista globale, perdendo quella distanza simbolica che per secoli ha incarnato l’“alter Christus”.
La domanda che resta è profonda: in un tempo in cui il sacro sembra ritirarsi, è giusto che anche il papa si faccia da parte, spogliandosi dei suoi simboli? O c’è ancora bisogno di quel “vestito bianco” per ricordare, nella confusione del mondo, la presenza misteriosa di Dio? La risposta, forse, si trova proprio nel delicato equilibrio tra uomo e simbolo, tra visibilità e invisibilità, tra Francesco e il papato.