Era lontana dalle scene dal 2001, quando andò al Quirinale per la cerimonia dedicata ai David di Donatello, ma la sua voce rauca e inconfondibile ha continuato a risuonare nella testa e nell’anima degli italiani e non solo. E continuerà a farlo con i film che ha interpretato. Monica Vitti è morta a Roma il 2 febbraio dopo una lunga malattia affrontata con discrezione, aiutata dal marito, il fotografo e regista Roberto Russo, con cui era sposata dal 2000. Maria Luisa Ceciarelli, questo il vero nome dell’attrice, aveva da poco compiuto 90 anni, essendo nata a Roma il 3 novembre 1931. Il cambio del nome le fu consigliato quando iniziò la sua carriera, per semplificarlo e renderlo più armonico. Il cognome prende spunto da quello della madre, Adele Vittiglia, abbreviato in Vitti, mentre il nome lo scelse per via di un libro che stava leggendo. Le sembrò che suonasse bene. Suo padre, Angelo Ceciarelli, era un Ispettore del Commercio Estero che lavorò anche a Messina, dove Monica crebbe per otto anni della sua infanzia. In quel periodo, i famigliari le affibbiarono il soprannome di “setti vistìni”, sette sottane, perché amava coprirsi con numerosi capi quando aveva freddo. Sette sottane è anche il titolo che scelse per la sua biografia, uscita nel 1993 e seguita due anni dopo da Il letto è una rosa. Gli inizi della carriera Monica Vitti si è diplomata all’Accademia Nazionale d’Arta Drammatica di Roma nel 1953, quando era diretta da Silvio D’Amico. La sua formazione teatrale iniziò con le opere di Shakespeare e Moliére, ma con il suo insegnante in Accademia Sergio Tofano, si cimentò in alcune commedie, dando prova di una grande verve comica che la contraddistinguerà nella sua carriera. Al Teatro Arlecchino di Roma, ora Teatro Flaiano, recitò in alcuni atti unici comici, riscuotendo un discreto successo. L’incontro con Michelangelo Antonioni Dopo alcuni ruoli in film comici, nel 1960 Monica Vitti incontra il regista Michelangelo Antonioni, che la dirige ne L’avventura. Tra i due nasce una storia d’amore che porta la Vitti ad essere la musa ispiratrice del regista, dando vita ad altri capolavori come La notte, nel 1961, L’eclisse, nel 1962, e Deserto rosso, del 1964. Quattro film che formano la cosiddetta “tetralogia dell’incomunicabilità” di Antonioni. Gli altri registi Fu Mario Monicelli il primo che mise in risalto la comicità di Monica Vitti nel cinema con il film La ragazza con la pistola, nel 1968. La pellicola fu candidata agli Oscar come miglior film straniero e valse all’attrice il primo di cinque David di Donatello come miglior attrice protagonista. In quell’anno di grandi contestazioni fu scelta come presidente della Giuria del Festival di Cannes, ma l’eco delle proteste del maggio francese coinvolsero la kermesse. Monica Vitti scelse di dimettersi e fu seguita dagli altri componenti della giuria. Fu per questo che, nel 1968, a Cannes non venne attribuito nessun premio. L’anno seguente Vitti inizia il sodalizio artistico con Alberto Sordi, con cui lavora in Amore mio aiutami. In questo film, nella scena degli schiaffi girata sulla spiaggia di Sabaudia, Monica Vitti fu sostituita da una giovane Fiorella Mannoia, che le fece da stantwoman. “La scena non era violenta in realtà – disse poi la Mannoia – al massimo si riceveva una spinta, ma la Vitti era una fifona, aveva paura di guidare, di andare in moto, di cadere”. Gli anni Settanta Gli anni Settanta iniziano con Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) di Ettore Scola e con Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa di Marcello Fondato, con cui si aggiudica il secondo David di Donatello come miglior attrice protagonista. Un altro lo vince grazie a Polvere di Stelle, del 1973, in cui lavora di nuovo con Alberto Sordi, interprete e regista del film. I due, nel film, interpretano Dea Dani e Mimmo Adami e dirigono una compagnia teatrale con cui cercano di sbarcare il lunario durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1973 conosce il regista Carlo Di Palma, che la dirige in Teresa la ladra e con cui ha un’altra intensa storia d’amore. Insieme lavorano anche in Qui comincia l’avventura, nel 1975 e Mimì Bluette… fiore del mio giardino, nel 1976. In quegli anni Vitti lavora anche con Dino Risi, Luigi Magni, Franco Giraldi e Luciano Salce, che la dirige in L’anatra all’arancia e con cui vince il suo quarto David di Donatello, nel 1975. Il quinto, invece, arriva nel 1978, con l’interpretazione di una donna bigama con il doppio nome di Anna Rossi e Lisa Bianchi. Il film è Amori miei di Steno. Gli anni Ottanta Nel 1980 Michelangelo Antonioni la dirige ancora, stavolta in Il mistero di Oberwald. In quegli anni Vitti lavora ancora con Steno in Tango della gelosia e Mario Monicelli in Camera d’albergo, nel 1981, mentre l’anno dopo è di nuovo sul set con Alberto Sordi per Io so che tu sai che io so. Nel 1984 vince l’Orso d’argento alla miglior attrice al festival di Berlino, grazie all’interpretazione di Laura nel film Flirt di Roberto Russo. I due si conoscono già da tempo, ma è nel 1983 che si innamorano e danno vita ad una lunga storia d’amore durata 39 anni, fino alla morte dell’attrice. Gli ultimi lavori Monica Vitti è stata anche regista di Scandalo segreto, nel 1990, con cui si è conclusa la sua carriera cinematografica. Ha lavorato ancora un po’ in televisione e, nel 1995, ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia. Ha poi lasciato le luci della ribalta per ritirarsi a vita privata. È apparsa durante i festeggiamenti degli ottant’anni di Alberto Sordi, il 15 giugno del 2000 e l’anno seguente alla cerimonia al Quirinale dei David di Donatello. Poco dopo ha iniziato a stare male, di una malattia simile all’Alzheimer. “Ma non è vero – disse il marito Roberto Russo – che è fuori dalla realtà. Con i suoi occhi stabiliamo un dialogo”. Quegli occhi e quella voce cui la cultura italiana devono molto. Monica Vitti è stata un’attrice capace di arrivare al grande pubblico con la sua comicità, ma in grado di interpretare magistralmente qualsiasi ruolo, diretta da tutti i grandi registi che, con lei, hanno fatto la storia del cinema.


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