Come ricorda il quotidiano The New York Times, quando è iniziata la pandemia in Cina, il presidente Xi ha dichiarato una “guerra popolare” contro l’epidemia, stabilendo quella che sarebbe diventata la strategia zero Covid: “Ora, nel terzo anno della pandemia e di fronte a una variante in rapida diffusione, Xi sta cercando di mettere a punto il playbook, ordinando ai funzionari di reprimere le epidemie, ma anche di limitare l’impatto sui mezzi di sussistenza delle persone”.
Shanghai sta facendo i conti con una nuova ondata di COVID-19 da circa un mese: martedì scorso ha rilevato oltre 4.400 nuovi casi positivi, il numero più alto mai registrato nell’area metropolitana. Per gli standard di molti Paesi occidentali, dove nei mesi scorsi erano stati registrati decine di migliaia di casi giornalieri, la quantità di contagi può apparire ridotta, ma non per il governo cinese che in questi due anni ha cercato di evitare la circolazione del coronavirus praticamente ad ogni costo, isolando da subito i contagiati e imponendo rigide quarantene e lockdown prolungati di intere città. Sembra un déjà-vu. Anzi, lo è. Zone o intere città sigillate, confinamenti, zelanti operatori sanitari in tuta bianca che, di casa in casa, spingono affinché ogni residente si sottoponga al test quotidiano anti COVID-19. E guai se qualcuno non dovesse rispettare le procedure e i protocolli. Le autorità hanno deciso di dividere la città in due per procedere ai test, utilizzando come demarcazione il fiume Huangpu che la attraversa. I distretti a est del fiume rimarranno chiusi fino al primo aprile. Le rimanenti aree saranno chiuse e testate tra il primo e il 5 aprile. I trasporti pubblici in queste zone saranno sospesi, ha affermato il governo della città nel suo account ufficiale WeChat, aggiungendo che i veicoli non autorizzati non saranno ammessi sulle strade. Il lockdown della megalopoli cinese sta causando, assieme alla guerra in Ucraina, una nuova congestione della movimentazione delle merci a livello globale. Le restrizioni imposte obbligano la maggior parte delle attività commerciali a rimanere chiuse: solamente i supermercati, i mercati agricoli, le farmacie, le strutture mediche e i servizi di consegna espressa saranno autorizzati a rimanere aperti. Trattandosi della Cina, una delle potenze commerciali più attive del mondo, una scelta del genere può danneggiare la situazione economica a livello mondiale. Anche la città di Jilin, centro dell’epidemia nel nord-est del Paese, è stata parzialmente chiusa sabato scorso, mentre domenica i residenti di Yanji, area urbana di quasi 700mila abitanti al confine con la Corea del Nord, sono tornati in lockdown duro. La vicina città di Changchun, polo industriale di 9 milioni di abitanti, è stata chiusa venerdì, mentre almeno altre tre piccole città sono state completamente fermate dal 1° marzo. Secondo quanto riferiscono i media cinesi, le autorità locali, annunciando l’avvio di test di massa, hanno ordinato ai residenti di lavorare da casa e di consentire a una persone per ogni nucleo familiare di uscire ogni due giorni per l’acquisto di beni primari. I viaggi da e verso la Cina continuano a essere pesantemente limitati, e chi arriva nel paese deve sottoporsi a una quarantena di due settimane in alberghi e altre strutture indicate dalle autorità sanitarie. Il dragone, insomma, sta affrontando un vero e proprio terremoto. L’economia nazionale potrebbe aver subito un rallentamento a marzo, a causa del riemergere di casi di Covid-19 e dei nuovi lockdown in alcuni distretti industriali di particolare importanza. Lo confermano i dati dei PMI pubblicati oggi da Pechino. Secondo i dati forniti dal National Bureau of Statistics, il PMI manifatturiero è calato da a 49,5 punti dai 50,2 del mese precedente e rispetto ai 49,9 attesi, andando più in basso della soglia chiave dei 50 punti, sotto la quale l’attività si contrae. “Il lockdown a Shanghai non servirà a nulla”, scrive su Twitter l’infettivologo Matteo Bassetti. “La strategia zero Covid ora è impossibile e inutile”. Ieri in Italia si sono sfiorati i 77mila casi, con i ricoveri e le terapie intensive in graduale crescita, ma sotto controllo. Alla corsa si è unita la variante BA.2, chiamata anche Omicron 2, che anche da noi sta superando la prima ‘versione’ della mutazione. In questo scenario a tinte fosche, buone notizie almeno sul fronte dell’autotrasporto nazionale: Unatras ha revocato il fermo proclamato per il 4 aprile, poiché è stato raggiunto l’accordo auspicato con il Governo. Giulia Cortese