Il presidente yemenita in esilio depone il suo potente vice e cede i poteri al Consiglio direttivo presidenziale; le forze di sicurezza israeliane lanciano operazioni su vasta scala in Cisgiordania, in risposta agli attacchi dei giorni scorsi
Tensioni in Libia all’interno del Comitato militare congiunto, qualche giorno dopo gli scontri armati tra milizie a Tripoli; il fronte Polisario rompe le relazioni con la Spagna
La defenestrazione di Sana’a
Il 7 aprile, il presidente dello Yemen in esilio Abdorabbou Mansour Hadi ha spodestato il potente vicepresidente Ali Mohsen al-Ahmar, per trasferire irreversibilmente i poteri dell’esecutivo e i comandi militari al Consiglio direttivo presidenziale (Cdp). L’annuncio è stato fatto dallo stesso Hadi, nell’ultimo giorno dei negoziati di pace che si sono tenuti a Riyadh, dal 29 marzo al 7 aprile, sotto la supervisione del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), tra le forze politico-tribali yemenite. Il Cdp, che dovrebbe rimanere in carica per tutta la fase della transizione politica (ovvero fino all’elezione di un nuovo presidente), conta, oltre al presidente, il generale maggiore Rashad al-Alimi, sette vicepresidenti. Inoltre, sarà supportato da una commissione consultiva di 50 membri e da altre con competenze legali ed economiche. Il decreto presidenziale che ha costituito il Cdp ha conferito a quest’ultimo anche i poteri di stabilire relazioni diplomatiche e di intavolare trattative di pace con i ribelli sciiti Houthis, che non avevano preso parte ai negoziati di Riyadh perché avevano chiesto di organizzarli in territorio neutrale. Quanto alla diplomazia, lo stesso 7 aprile, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha incontrato i membri del Cdp, promettendo nell’immediato 3 miliardi di dollari di aiuti, per sostenere la ripresa economica in Yemen: in realtà due miliardi provengono da Riyadh, mentre uno è stato sborsato dagli Emirati arabi uniti. Durante l’incontro, Mohammed bin Salman ha esortato il Cdp ad avviare quanto prima i negoziati con gli Hourhis per porre fine alla guerra. Riyadh pregusta dunque la seconda vittoria diplomatica, dopo il trasferimento sul suo territorio del processo per l’omicidio del giornalista saudita, collaboratore del Washington Post, Jamal Khashoggi.
Israele/Palestina: rischio di implosione
Il 10 aprile, due donne palestinesi sono state uccise in Cisgiordania dalle forze di sicurezza israeliane, che lo stesso giorno hanno lanciato una nuova operazione nel campo profughi di Jenin, dopo due giorni di restrizioni agli accessi all’area circostante. Sarebbe questo, infatti, il luogo di provenienza degli autori dei recenti attacchi compiuti a Tel Aviv, l’ultimo dei quali risale al 7 aprile. L’esercito israeliano annuncia di aver sequestrato armi, ma il ministro della Sanità palestinese ha riportato che nelle operazioni una decina di palestinesi è rimasta ferita. Nel villaggio vicino di Yaabad, invece, lo stesso giorno le forze di sicurezza di Tel Aviv hanno arrestato nove palestinesi, mentre due donne sono state uccise dall’esercito israeliano in due diverse località della Cisgiordania. L’ultima a Hebron, vicino alla Tomba dei Patriarchi / Moschea di Abramo, uccisa da un soldato di Tel Aviv dopo un tentativo di aggressione all’arma bianca, nel quale ha riportato lievi ferite. Qualche ora prima, vicino Betlemme, le truppe israeliane avevano “neutralizzato” una donna disarmata, Ghada Ibrahim Ali Sabateen, colpevole di “comportamenti sospetti”. In entrambi i casi, Tel Aviv assicura che i suoi uomini, prima di ucciderle, avevano sparato in aria in segno di avvertimento. Nelle ultime settimane, Israele vive una tensione crescente, sia nei territori palestinesi occupati, sia con i cittadini arabi che vivono nel suo territorio. Gli ultimi due attacchi, quello del locale di Tel Aviv e quello di Bnei Brak sono opera di palestinesi residenti in Cisgiordania, mentre i precedenti tre erano stati compiuti da arabi israeliani. Nessun legame ideologico, né tantomeno coordinazione. Forse solo il segnale dell’urgenza di una soluzione definitiva e condivisa.
Libia: processo politico instabile
Il 9 aprile, i cinque membri orientali del Comitato militare congiunto 5+5 (Cmc), che rappresentano le forze del maresciallo Khalifa Haftar, hanno annunciato la sospensione della loro partecipazione alle operazioni coordinate, la rottura delle relazioni con il Governo di unità nazionale (Gun) di Abdelhamid Dbeibah, esortando il loro comandante a disporre il blocco delle “esportazioni” di petrolio dalla Libia orientale alla Libia occidentale e la chiusura dei collegamenti terrestri e aerei. Intanto, il portavoce delle forze di Haftar, Ahmed al-Mismari, ha smentito le voci di una presunta intenzione del maresciallo e del presidente del Governo di stabilità nazionale (Gsn), Fathi Bashagha, di fermare gradualmente l’esportazione di gas e petrolio. Nondimeno, il 10 aprile, i cinque membri occidentali del Cmc, per bocca del gemerale maggiore Mustafa Yehya, hanno fatto notare che la posizione dei loro colleghi della Cirenaica non riflette la linea dell’intero Cmc, i cui componenti dovrebbero invece evitare di prendere parte sullo scacchiere politico. Yehya ha parlato anche di “pressioni” che il Cmc subisce dalla Cirenaica, feudo di Haftar, assicurando il suo impegno costante per evitare una recrudescenza dei conflitti. Bashagha, dal canto suo, ha invitato alla moderazione, ma gli scontri di Tripoli del 4 aprile gettano un’ombra sulla transizione politica libica. La milizia al-Nawasi si era scontrata infatti con l’Apparato di supporto alla stabilità, creato nel 2021 e guidato dal miliziano Abdelghani al-Kikli, in precedenza capo della Forza di sicurezza centrale di Abu Salim.
Spagna-Marocco: il Polisario rompe con Madrid
Il 10 aprile, tre giorni dopo la storica visita del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez in Marocco, il fronte Polisario ha annunciato l’interruzione delle relazioni con il governo di Madrid, per protestare contro quello che considera un voltafaccia diplomatico. In particolare, in un comunicato, si legge che il fronte respinge la strumentalizzazione della questione del Sahara occidentale da parte della Spagna, per “fare affari” con Rabat. Di conseguenza, il gelo diplomatico tra Madrid e il Polisario durerà finché la prima “non si conformerà al diritto internazionale”. La visita di Sanchez a Rabat, infatti, aveva posto fine a un lungo periodo di tensioni ispano-marocchine, nelle quali sono coinvolte tre questioni significative per gli equilibri geopolitici magrebini: il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi e l’integrità territoriale del Marocco, la pressione migratoria sulle due enclaves spagnole di Ceuta e Melilla e i rapporti tra Marocco e Algeria (quest’ultima accusata da Rabat di istigare le mire indipendentiste del Polisario).