India-Cina: scaramucce ad alta intensità

New Delhi pensa di vietare alle compagnie cinesi di vendere gli smartphones più economici per proteggere le marche nazionali

Pechino, intanto, chiede al vicino-rivale di smettere di «disturbare» i suoi scambi commerciali con lo Sri Lanka

Diplomazia border-line

L’8 agosto il sito di informazione Bloomberg ha riportato, da fonti indefinite, che New Delhi sta prendendo in considerazione l’ipotesi di vietare ad aziende con sede in Cina di vendere in India smartphones con un costo inferiore a 12 mila rupie (150 dollari), nel tentativo di rivitalizzare le aziende nazionali, che, insieme, formano il secondo mercato mondiale di telefonia mobile. Anche se non è ancora chiaro come le autorità indiane pensino di trasformare questa idea in misure concrete, il bersaglio è piuttosto definito, anche perché da luglio New Delhi ha nel mirino le aziende cinesi Xiaomi, Vivo e Oppo, che nell’ultimo decennio hanno preso il controllo del 60% del mercato indiano, emarginando aziende locali come Lava e MicroMax, che inizialmente godevano di una vasta popolarità, grazie alla produzione e alla commercializzazione di smartphones a buon mercato. In realtà, da maggio le autorità finanziarie indiane hanno avviato indagini su Xiaomi (primo venditore di telefonia mobile in India) per versamenti illegali, mentre agli inizi di agosto, Vivo è finito nel mirino per sospetta frode fiscale. Entrambe, poi, sono indagate anche per riciclaggio di denaro. Infine, Oppo, che in India vende marche molto popolari, come Realme e OnePlus, è sospettata di evasione fiscale. Intanto, il ministero degli Esteri cinese, che non ha commentato questi ultimi fatti, ha invece prontamente reagito alla richiesta indiana allo Sri Lanka di rinviare «finché non vi saranno state ulteriori consultazioni», l’arrivo di una nave di tracciamento cinese, la Yuang Wang 5, che sarebbe dovuta approdare al porto di Hambantota tra l’11 e il 17 agosto. Il 7 agosto, quindi, l’ambasciata di Pechino a New Delhi ha chiesto un incontro urgente con le autorità indiane, mentre, secondo alcuni siti di informazione srilankesi, il presidente Ranil Wickremesinghe ha avuto un colloquio a porte chiuse con l’ambasciatore Qi Zhenhong. Colombo ha smentito la notizia, ma la richiesta di rinvio dell’approdo dell’imbarcazione cinese rischia di inasprire le tensioni nell’Indo-Pacifico, soprattutto in vista delle esercitazioni militari annuali congiunte di India e Stati uniti, iniziate l’8 agosto e dalla durata prevista di 21 giorni. Le operazioni sono state lanciate a Bakloh, nello Himachal Pradesh, a 62 miglia (meno di 100 km) dalla Linea di controllo effettivo. Un confine non ufficiale tra Cina e India stabilito nel 1962, che, assieme alla Linea McMahon (tracciata nel 1914), delimita i due territori nelle aree contese. Le manovre sino-statunitensi, dunque, rischiano di riaccendere la disputa frontaliera, acuendo le tensioni nell’Indo-Pacifico.

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