Per 65 anni è stato solo ”Boy in the box”, come venne soprannominato quando il suo cadavere fu scoperto a Philadelphia, avvolto in una coperta, dentro una scatola di cartone. Ora ”Boy in the box” ha finalmente un nome: secondo la polizia si chiamava Joseph Augustus Zarelli e, nel momento della sua uccisione, aveva quattro anni, vittima di quello che secondo gli investigatori è uno dei più antichi omicidi irrisolti della città. L’identificazione è stata resa possibile attraverso l’esame del Dna e rappresenta una svolta sul pluridecennale cold case, che risale alla fine di febbraio 1957, quando fu trovato il cadavere del bambino, che mostrava prove “di recenti e passati traumi”. Nonostante la grande pubblicità che il caso ebbe, ha detto il commissario di polizia di Filadelfia, Danielle Outlaw, nessuno si è mai presentato per dire che il cadavere era del piccolo Joseph. Quindi le indagini per dargli un nome sono proseguite per anni. A dare una spinta decisiva alle indagini, oltre al lavoro investigativo, c’è stato anche il contributo di genealogisti genetici. Il commissario Outlaw (si chiama proprio così) ha detto che la vicenda “per sessantacinque anni ha perseguitato questa comunità, il dipartimento di polizia di Filadelfia, la nostra nazione e il mondo”. ”Nonostante il fatto che l’intera identità di Joseph Augustus Zarelli e la legittima pretesa alla propria esistenza siano state portate via, non è mai stato dimenticato”. L’identificazione non ha fermato le indagini, che proseguono. “Abbiamo i nostri sospetti su chi potrebbe essere responsabile, ma sarebbe irresponsabile da parte mia condividere questi sospetti poiché questa rimane un’indagine criminale attiva e in corso”, ha dichiarato il capitano Jason Smith dell’unità omicidi della polizia di Filadelfia. ”Potremmo non effettuare un arresto”, ha detto Smith. “Potremmo non fare mai un’identificazione dell’assassino. Ma faremo del nostro meglio per provarci”.
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