La diversità di genere migliora i risultati d’impresa.

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Intervista a Paola Veglio

L’apporto umano che una guida femminile può dare alle aziende riguarda sia la sfera pratica, che quella relazionale, grazie in primis all’innata sensibilità peculiare alle donne.

La diversità di genere migliora i risultati d’impresa e facilita l’attrazione di talenti. A confermarlo è il rapporto dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro). La sa bene Paola Veglio, classe 1979, con studi al Politecnico di Torino in Ingegneria Elettronica; dopo una lunga gavetta iniziata nel 2006 nel laboratorio di elettronica di Brovind Vibratori S.p.A, nel 2011 affianca il padre, Giancarlo Veglio, nella gestione dell’azienda e nel 2013 ne diventa Amministratore Delegato.

Grazie a Paola, Brovind, azienda specializzata nella movimentazione industriale su base vibrante, ha intrapreso un percorso di crescita, passando da 39 addetti ai 165 attuali, con un aumento del fatturato da 5,4 milioni a 20 milioni di Euro, ma anche un respiro internazionale, con il risanamento di una filiale in Brasile, l’apertura di una sede negli Stati Uniti e un’intensa attività commerciale nel Nord Europa.

In questa intervista Paola Veglio ci racconta la sua storia da donna in carriera e del suo impegno per la sua comunità di appartenenza che sarà da esempio per molte donne che al giorno d’oggi lottano quotidianamente per contrastare stereotipi e pregiudizi legati a ruoli di spicco in settori considerati erroneamente poco avvezzi alle figure femminili.

Paola, cosa si prova ad essere manager in un’azienda metalmeccanica?
È stimolante e sfidante. Il nostro è un mercato altamente competitivo; la nostra caratteristica distintiva è la capacità di creare progetti ad hoc per i clienti (grandi industrie). Ma al contempo non dobbiamo perdere di vista l’innovazione tecnologica che scorre inarrestabile. Stare al passo con i tempi, cercare anche di anticiparli, per creare soluzioni che siano davvero in grado di fare la differenza, è impegnativo, ma gratificante. In tutto questo non perdiamo mai di vista l’importanza delle persone, che sono il vero motore dell’azienda, la sua forza e il suo successo.

Molti sono i pregiudizi nei confronti delle donne che rivestono ruoli manageriali. Quali sono quelli che lei ha provato sulla sua pelle durante la sua carriera?
Giovane e donna in un ambiente metalmeccanico, sono stata a lungo osteggiata e criticata. Mi sono sempre opposta al diktat “si è sempre fatto così” cercando di innovare e andare controcorrente, quando necessario. L’azienda era fatta da persone che ci lavoravano da 30 anni, era sopravvissuta grazie a mio papà, ma mancava quella scintilla che le permettesse di rinascere. L’ho cercata a lungo e la gavetta intrapresa in azienda mi ha sicuramente permesso di comprendere tutti gli aspetti organizzativi, gestionali e produttivi, inclusi pregi e difetti. Ciò mi ha consentito di avere una visione diversa per provare a risanare l’azienda, che era a un passo dal fallimento. Con le unghie e con i denti, mi sono ritagliata una posizione di leadership, pur avendo quasi tutti contro, incluso mio padre, che sosteneva fosse troppo presto per guidare l’azienda. Sono sempre stata consapevole che da soli non si vada da nessuna parte, quindi con umiltà e pazienza, mi sono circondata di persone fidate, ho spiegato la mia visione, ho scardinato i loro timori verso il cambiamento, ma ho anche imparato molto dalla loro competenza. Quando i risultati hanno iniziato ad arrivare è stata una bella soddisfazione.

Con lei come manager Brovind ha raggiunto tanti traguardi. Qual è stato quello più emozionante che vuole condividere con noi?
Avercela fatta a superare la grave crisi che ha colpito l’azienda. Senza ricorrere a finanziamenti, senza fare un giorno di cassa integrazione o saltare il pagamento degli stipendi dei dipendenti. Abbiamo spiegato la situazione ai fornitori, che ci hanno fatto da principale banca in quegli anni. Con loro abbiamo fatto piani di rientro precisi, mai disattesi, creando un rapporto di fiducia che ancora oggi esiste. Abbiamo investito, sono andata controcorrente in maniera molto pericolosa, ho stravolto l’azienda nell’organigramma e nei processi, abbiamo diversificato i mercati, abbiamo assunto giovani e ampliato le vendite. In tre anni avevo sanato la perdita, dal quarto anno abbiamo cominciato a fare utili e nel 2013 sono diventata amministratore delegato. È stata una grande soddisfazione, ottenuta lavorando come squadra, credendoci fino in fondo.

Cosa l’ha spinta ad andare avanti nella realizzazione dei suoi sogni tanto da superare qualsiasi tipo di avversità?
Sono una sognatrice nata e testarda; se mi metto in testa una cosa la raggiungo. Serve tanta determinazione, ma anche porsi degli obiettivi che siano concretamente realizzabili, facendo rete. Operare in un piccolo borgo come Cortemilia rende necessario collaborare, per il bene della comunità. Non nego che un maggior supporto dallo Stato nei confronti delle aziende virtuose che, non solo generano profitto, ma al contempo tengono in vita il tessuto socio-economico dei piccoli borghi, sarebbe davvero gradito. Ma le istituzioni, purtroppo, sono lontane anni luce da chi fa impresa, quindi andiamo avanti con le nostre risorse e tanta, tanta buona volontà. I risultati ottenuti e la gratitudine delle persone sono il nostro supporto più grande.

Mi ha molto colpita quello che hai fatto per Cortemilia. Quanto e in che misura lei si sente legata alla sua comunità?
Per lungo tempo, quando frequentavo l’università, ho vissuto in una grande città e pensavo che Torino sarebbe stato il luogo in cui sarei rimasta a vivere. Quando per lavoro sono tornata a Cortemilia me ne sono re-innamorata. È un territorio ricco di bellezza, di natura e di quiete. Le sue potenzialità sono molte, ma naturalmente vanno scoperte, incentivate. Il mio sogno è di rendere questo territorio, noto principalmente per enogastronomia e turismo, un hub tecnologico, capace di attrarre giovani talenti e portare nuova linfa creativa che possa ricondurre il borgo al suo antico splendore. Cortemilia ha un enorme potenziale inespresso, su cui occorre lavorarci a testa bassa per farlo esplodere, ma con una regola fondamentale: rispetto per il territorio, ma soprattutto tutti insieme.

Conciliare famiglia e lavoro per una donna può essere davvero possibile e un obiettivo raggiungibile concretamente? Se sì come?
Vorrei poter rispondere che è possibile, ma purtroppo dobbiamo ancora percorrere molta strada per cambiare la mentalità e la prospettiva nel mondo del lavoro. Una donna non dovrebbe trovarsi nella situazione di dover scegliere tra carriera o famiglia. Parlo anche sulla mia pelle: io ho dovuto decidere; ho scelto la carriera e ad oggi non me ne pento. Ma perché una donna deve obbligatoriamente scegliere? Sto cercando di fare il possibile affinché questo non capiti ai dipendenti di Brovind: dagli orari flessibili, al fornire ai genitori servizi utili, come la retta dell’asilo nido pagata dall’azienda. La volontà è di agevolare le famiglie con entrambi i genitori che lavorano. Proprio nell’ottica di valorizzare le persone, perché non fare emergere le soft skill tipicamente femminili, come la sensibilità e l’attenzione ai dettagli? I ruoli ricoperti da donne si caratterizzano proprio per queste abilità. E allora, cambiamo mentalità. L’ingresso in un’azienda e la carriera in questa non deve avvenire perché si è uomo o donna, bensì perché si è bravi e perché si hanno dei talenti. Compito dell’imprenditore è fare emergere e valorizzare queste capacità, senza distinzioni di genere.

Qual è la parte più bella del suo lavoro?
Sapere di stare facendo la cosa per cui più si è portati; sapere di stare sfruttando il proprio talento e pensare che si possa cambiare il mondo partendo dal piccolo. Lavorare a contatto con le persone, ascoltare le loro necessità e fare in modo di trovare delle soluzioni che aumentino il loro benessere. In cambio riceviamo condivisione degli obiettivi, gratitudine e impegno, energia vitale per permettere all’azienda di continuare a crescere, da un lato, ma che ci danno anche la forza per superare le numerose insidie che si presentano quotidianamente.

Un consiglio che darebbe a tutte le donne che ambiscono a ruoli manageriali qui in Italia…
L’unico consiglio che vorrei dare a tutte le donne è di credere in loro stesse e di non autoimporsi dei limiti che in realtà non esistono o che sono frutto di un vecchio retaggio culturale. Troppe volte ci si ritrova anche solo a pensare di non essere abbastanza per gli altri, di non essere all’altezza, cerchiamo invece di essere noi stesse, lasciandoci scivolare addosso i giudizi, che a volte devastano. A 44 anni, cerco di imparare ogni giorno con tanta umiltà da tutti, ma l’unica cosa che oggi mi interessa è potermi guardare allo specchio e sapere che di fronte ho una donna di cui probabilmente la mia mamma sarebbe stata fiera.

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