Quello che vi siete persi per seguire la guerra Usa-Russia in Ucraina: Pacifico, Maghreb, Caucaso #multilateralismo

Timori di Australia e Nuova Zelanda per la possibile militarizzazione delle isole Solomon da parte della Cina

Marocco e Spagna intensificano le relazioni bilaterali; i venti di guerra nel Nagorno-Karabakh rischiano di vanificare i tentativi di riavvicinamento tra Turchia e Armenia

Pacifico: un mare inquieto

Il 28 marzo, i primi ministri di Australia e Nuova Zelanda hanno espresso preoccupazione per la «potenziale» militarizzazione cinese delle isole Salomone, nel Pacifico meridionale. A destare inquietudine, nei giorni precedenti, erano stati l’accordo tra Pechino e Honiara per la cooperazione in materia di sicurezza, e soprattutto una bozza di accordo più ampia, la cui diffusione su Internet era stata presentata come una fuga di notizie. Il documento, la cui attendibilità non è certa, avrebbe consentito all’Impero del centro di inviare sulle isole Salomone agenti di polizia e personale militare, per fornire supporto al mantenimento dell’«ordine sociale». Parole che hanno irritato Wellington e Canberra, che, come ha dichiarato il dipartimento australiano degli Affari esteri e del Commercio, nel 2021 hanno provveduto a tale compito, durante le proteste di Honiara. Lo stesso dipartimento ha dunque rivendicato il diritto degli Stati insulari del Pacifico di «prendere decisioni sovrane». La Cina, intanto, ha smentito l’esistenza di accordi segreti che vadano al di là di una trasparente cooperazione in tema di sicurezza, per promuovere la pace e la stabilità nella regione. Intanto, il 28 marzo, Filippine e Stati uniti hanno lanciato le esercitazioni militari annuali, quest’anno denominate Spalla a spalla (Balikatan). Le operazioni si svolgeranno sull’isola di Luzon, la più estesa delle Filippine, e vedranno impegnati 8.900 soldati, di cui 5.100 statunitensi e 3.800 filippini. Si tratta di un evento organizzato da Manila e Washington con cadenza annuale, l’imponenza dell’edizione di quest’anno potrebbe lasciar intendere che l’acuirsi degli attriti tra Mosca e Washington, e poi l’invasione russa dell’Ucraina, hanno causato un aumento delle tensioni geopolitiche (e una corsa agli armamenti) anche nel Pacifico, dove gli interessi strategici statunitensi collidono con quelli cinesi. È verosimile dunque che nello stesso quadro si collochi l’intensificazione dei test missilistici da parte della Corea del Nord dall’inizio del 2022.

Marocco-Spagna-Algeria: caos calmo

Rabat e Madrid compiono un ulteriore passo sulla via della normalizzazione delle relazioni, annunciando la ripresa del traffico marittimo dopo una sospensione di due anni. Il primo traghetto dovrebbe partire il 7 aprile dal porto spagnolo di Tarifa e raggiungerà quello marocchino di Tangeri. Questo eviterà ai cittadini del Marocco residenti in Spagna di passare per i porti di Sète in Francia e Genova in Italia, oltre a favorire la riapertura delle imprese legate al turismo marittimo. Se il riavvicinamento tra Madrid e Rabat è da un lato un segnale di distensione tra le due sponde del Mediterraneo, su un altro fronte rischia di essere foriero di nuove tensioni tra la Spagna e l’Algeria. Madrid, da parte sua, ha cercato di alleviare i contrasti, concedendo ad Algeri l’estradizione dell’ex caporale Mohamed Benhalima, fuggito dopo aver partecipato al movimento Hirak, che aveva indotto l’ex presidente Abdelaziz Bouteflika a dimettersi. Benhalima, quindi, era stato condannato in contumacia a 10 anni di carcere con l’accusa di pubblicazione di false informazioni e contro di lui Algeri aveva emesso un mandato d’arresto internazionale. Nondimeno, la riapertura delle relazioni tra Spagna e Marocco ha inasprito i contrasti tra quest’ultimo e l’Algeria, che si riflettono nelle accuse rivolte dall’agenzia stampa di Stato algerina Aps al Fondo delle Nazioni unite per l’infanzia (Unicef) di farsi portavoce delle «menzogne» diffuse dalla stampa marocchina. Sotto accusa c’è l’ultimo rapporto dell’Unicef, che tratta della disoccupazione e della precarietà che affliggono i giovani algerini. Dal 28 al 30 marzo, il segretario di Stato statunitense Antony Blinken è in visita in Marocco e Algeria, per discutere di questioni geostrategiche, economiche ed energetiche connesse con il conflitto ucraino e con le sue ripercussioni sui mercati internazionali. A partire dal rifiuto di Algeri di riaprire il gasdotto Maghreb-Europa.

Nagorno-Karabakh: tregua turbolenta

Dopo essersi dichiarata disponibile a instaurare relazioni diplomatiche costruttive con la Turchia, il 28 marzo l’Armenia ha chiesto alla Russia di esortare le truppe azere a ritirarsi dall’area del Nagorno-Karabakh controllata dalle forze di pace di Mosca. Le tensioni nell’enclave a maggioranza armena in territorio azero, del resto, erano montate nei giorni precedenti, finché il 26 marzo, la Russia aveva accusato l’Azerbaijan di violare la tregua permettendo ai suoi soldati di entrare in un’area loro preclusa, vicina al villaggio di Farrukh, ma il giorno dopo aveva riferito che le truppe di Baku erano state ritirate. Affermazione, quest’ultima, prontamente smentita dal ministero della difesa azero, secondo cui le posizioni delle sue truppe in Nagorno-Karabakh non erano cambiate. Ora, il ministero degli Esteri armeno ha dichiarato di attendere che Mosca adotti «misure concrete per fermare le incursioni di unità azere nell’area sotto il controllo delle truppe di pace, e per il ritiro dell’esercito azero». Una richiesta supportata dall’alleanza che unisce Erevan a Mosca, l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, che comprende inoltre Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, dopo l’uscita di Azerbaigian, Georgia e Uzbekistan nel 1999. In base al suo statuto, l’aggressione contro un paese membro equivale a un attacco contro tutti i paesi firmatari dell’alleanza, che, peraltro, non possono appartenere ad altre alleanze militari. L’impegno a intervenire a sostegno di un paese membro, inoltre, aveva indotto Mosca a intervenire in Kazakistan, lo scorso gennaio. La richiesta di aiuto di Erevan, pertanto, rischia di innescare nuovi conflitti, che hanno buona probabilità di sfociare in scontri armati, soprattutto in una fase come quella attuale, in cui si stanno ridefinendo gli equilibri geopolitici globali.

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