La Banca centrale del Giappone, a differenza delle altre banche centrali, prosegue la sua strada dovish, generando nuove pressioni sullo Yen che ha raggiunto il suo livello più basso rispetto al dollaro in 24 anni. Il trend dell’inflazione, +3% a luglio a livello tendenziale, resta sotto controllo e si colloca attualmente a un livello inferiore a quello registrato nel 2014. Ma l’economia giapponese, il cui pil resta inferiore di circa il 2,5% rispetto all’estate 2019, resta il paese del G7 dove la ripresa dell’attività è stata la meno forte negli ultimi due anni.
L’economia nipponica, infatti, continua a fare fronte a diversi ostacoli che si aggiungono all’attuale crisi energetica. Il settore industriale, che rappresenta oltre il 20% dell’attività nazionale, rileva Bnp Paribas in uno studio, “è fortemente indebolito dai problemi di approvvigionamenti e dalla situazione economica in Cina dove la politica zero-covid e le difficoltà del settore immobiliare stanno scatenando un rallentamento della domanda. La Cina resta il primo paese di destinazione dei beni giapponesi”. Il confinamento a Shanghai deciso a maggio scorso, ad esempio, osserva l’analista della banca francese, “aveva condotto ad un crollo della produzione industriale in Giappone (-7,5% mese su mese a maggio). Poi successivamente la produzione industriale era rimbalzata con lo stop al confinamento”.
Il debole dinamismo salariale in Giappone (salari in calo del 2,1% anno su anno a luglio in termini nominali e del 4,7% anno su anno in termini reali), osserva ancora l’analista, “riflette le radicate rigidità strutturali del Paese”. L’aumento dell’inflazione e i problemi di assunzione che sono ancora molto importanti, comunque, “dovrebbero costituire una congiuntura positiva e inedita favorevole ad un aumento dei salari”. Il tasso di disoccupazione, rileva l’analista di Bnp Paribas, “ha raggiunto il livello record del 2,2% poco prima della pandemia mondiale” e secondo alcuni indicatori si potrebbe andare in questa direzione nuovamente. Le società giapponesi, osserva, “hanno margini di manovra per procedere ad un aumento salariale se fosse necessario”.
L’aumento dei costi di produzione, esacerbato dal calo dello yen, sottolinea l’analista, “sembra, per il momento, essere stato ben assorbito dalle imprese, che hanno scaricato buona parte di questo aumento sui consumatori. Tuttavia, l’aumento delle importazioni ha lasciato il segno sulla bilancia commerciale del Paese che ha registrato un disavanzo record”.
Intanto, osserva l’analista di Bnp Paribas, “la crisi energetica globale e l’inasprimento delle tensioni geopolitiche nel Mare di Cina hanno generato, nelle ultime settimane, importanti cambiamenti politici in Giappone. Il governo di Fumio Kishida ha annunciato per la prima volta il riavvio, entro l’estate del 2023, di 17 reattori nucleari che erano fermi dal disastro di Fukushima nel 2011. Nuove costruzioni di reattori potrebbero anche essere annunciate”. Negli ultimi dieci anni, la quota di l’energia nucleare nel mix energetico del paese è considerevolmente sceso passando dal 13% nel 2009 al 3% nel 2019. Un calo che è stato compensato soprattutto dai combustibili fossili e dal solare.
Inoltre, sottolinea l’analista, “gli investimenti militari dovrebbero essere drasticamente aumentati nei prossimi cinque anni, con un possibile raddoppio della spesa pubblica verso questo settore entro il 2027”. Queste future spese militari peggioreranno ulteriormente il rapporto deficit/pil e il rapporto debito/pil che nel 2022 è rispettivamente al 6,5% e al 249,6%. “In questo difficile contesto politico-economico, il rallentamento della spesa pubblica non sarà, ancora una volta, una priorità dell’amministrazione giapponese”.